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Classi speciali e differenziali nella Torino tra '800 e '900

di Stefano Capello


Il bellissimo editoriale sulla diversità e l'inclusione firmato domenica scorsa da Guido Tallone[1] (l'uso del superlativo assoluto non è assolutamente improprio, per quanto mi riguarda) e alcune uscite di chiaro sapore elettoralistico o quasi sui processi di integrazione nelle scuole, suggeriscono di compilare una breve ricostruzione storica sul tema, oggi quanto mai utile per comprendere il valore pedagogico del cammino intrapreso dall'Ottocento in avanti nel nostro Paese, non senza aperte contraddizioni e notevoli difficoltà. Infatti, il dibattito su "se convenga l’istituzione di classi speciali nelle quali far confluire tardi di mente, ripetenti, ecc." (utilizzo il linguaggio del passato) e come si potrebbero formare, è già presente negli ultimi anni dell’Ottocento. Il problema si pone in particolare per le classi prime, dove il numero dei ripetenti sfiora i due terzi degli alunni. A Torino, nel 1900, si inaugura presso la scuola Aurora (attuale Parini) un'esperienza di “Classi speciali per fanciulli deficienti” (utilizzo sempre il linguaggio del tempo). Anche in altre scuole torinesi, in particolare la Casati, si avviano esperienze di accoglienza e istruzione agli alunni “ritardati”, secondo il lessico d'allora, mentre parallelamente già tante specifiche realtà educative esistevano in città per i bambini ciechi, sordi o con altri problemi definiti più specifici.

Quando si parla di scuole speciali e classi differenziali ci si riferisce in particolare, però, alle leggi degli anni Sessanta che istituiscono queste realtà volte rispettivamente ad accogliere alunni con disabilità gravi o con più lievi difficoltà di apprendimento e socializzazione. La legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 stabilisce infatti all’articolo 12 che “possono essere istituite classi differenziali per gli alunni disadattati scolastici”: esse possono avere un calendario speciale con appositi programmi e orari di insegnamento.

Cinque anni dopo, il DPR n. 1518 del 22 dicembre 1967, stabilisce che “soggetti che presentano anomalie o anormalità somatiche o psichiche che non consentono la regolare frequenza nelle scuole comuni e che abbisognano di particolare trattamento e assistenza medico-didattica sono indirizzati alle scuole speciali. I soggetti ipodotati intellettuali non gravi, disadattati ambientali, o soggetti con anomalie del comportamento, per i quali possa prevedersi il reinserimento nella scuola comune sono indirizzati alle classi differenziali”.

Riassumendo: classi speciali per alunni con anomalie somatiche o psichiche e classi differenziali per alunni disadattati con anomalie del comportamento.

Le classi differenziali prevedevano un possibile reintegro nella classi normali una volta si fosse colmato il “gap”, le classi speciali invece non prevedevano questa possibilità.

Torino in quegli anni affronta la forte immigrazione dal sud, con famiglie e alunni sradicati dal paese di origine e con difficoltà di integrazione: è facile immaginare l’alto numero di studenti inseriti nelle classi differenziali, che sorgono pressoché in tutte le sedi scolastiche. Questi alunni avevano svantaggi linguistici poiché non parlavano italiano ma solo il loro dialetto, avevano spesso problemi economici e di socializzazione. Le classi speciali invece vengono accorpate, affidandosi all’esperienza della scuola Medico Pedagogica dell’Istituto Padre Gemelli di Torino, aperta nel 1928 per l’educazione e il recupero di alunni con ritardo mentale.

Gli alunni ricevono, in base alle loro possibilità di apprendimento, l’istruzione obbligatoria gratuita che, in queste scuole, dura almeno 10 anni, anche se la frequenza può essere protratta fino al ventunesimo anno di età “per i soggetti per i quali la preparazione professionale lasci prevedere una più completa riabilitazione”. Condotti a scuola grazie a un servizio pubblico comunale, i ragazzi seguono le lezioni dalle 9 alle 16.30, compreso il sabato dalle 9 alle 14. Gli alunni, suddivisi in classi che variano dalle sei alle dieci persone, sono seguiti da un'insegnante con specializzazione ortofrenica, che applica programmi personalizzati basati su educazione psicomotoria, educazione all’espressione, apprendimento attivo, educazione del carattere. I sistemi di apprendimento ricorrono in larga parte a forme laboratoriali in particolare di canto, ginnastica, disegno, lavoro manuale quale falegnameria, cartonaggio, tipografia e lavori domestici femminili. L’assistenza si estende anche in ambito extra-scolastico, attraverso visite domiciliari, supporto alla famiglia, organizzazione di centri estivi presso i locali della scuola, colonie estive e invernali, anche grazie al contributo del Patronato Scolastico.

Le classi speciali e differenziali vengono abolite con la nascita della figura dell’insegnante di sostegno, nel 1977, che favorisce l’integrazione in classe dell’alunno con disabilità.

Questa decisione viene maturata grazie alle sopravvenute conoscenze pedagogiche che dimostravano che l’integrazione di questi soggetti svantaggiati portasse lo molto frutto e creasse altresì beneficio agli alunni che nelle loro classi li accoglievano.

La mediazione e l’aiuto necessario è delegato al docente di sostegno che se ne assume la responsabilità educativa e didattica , integrata  e supportata dall’intero gruppo docente e gruppo classe.



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