L’anniversario: 18 maggio 1939, nasceva Giovanni Falcone
Il 18 maggio del 1939 nasceva a Palermo, nella Kalsa, Giovanni Falcone, un magistrato onesto, un uomo coerente, un autentico servitore dello Stato che ha pagato con la vita la sua lealtà verso le istituzioni. E di Giovanni Falcone si commemorerà il 23 maggio il trentesimo anniversario della sua morte per mano dei sicari di Cosa Nostra, ramo corleonese egemonizzato da Totò Riina e Bernardo Provenzano. Ma Giovanni Falcone continua a vivere in tutti coloro che non si piegano, né si arrendono alle mafie e continuano a lottare per cambiare il nostro Paese. Continua a vivere soprattutto nell’animo di quei giovani, e sono tantissimi, che con entusiasmo ripetono in manifestazioni pubbliche le sue frasi famose che oggi echeggiano come un incitamento, uno sprone a conservare la purezza di ideali che soltanto la giovinezza sa rendere immortali.
Il 30 agosto del 1991, Giovanni Falcone concesse alla Rai un’intervista con la quale sembrò chiamare a raccolta la società civile sotto le insegne di una lotta lunga e senza quartiere, in cui era importante non tanto esporsi sul piano personale, quanto chiedere allo Stato di non venire mai meno ai suoi compiti e di testimoniare quotidianamente con rigore e dirittura morale il contrasto alle mafie. Ai microfoni, disse, infatti: “La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”. Un passaggio, il secondo, meno noto, forse perché più impegnativo per la politica.
Non a caso, in quello stesso anno, comparve il libro-intervista “Cose di Cosa Nostra” con Marcelle Padovani in cui Falcone esprimeva una sorta di personale profezia che si raccordava al rapporto tra individuo impegnato contro la Mafia e lo Stato: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.
Lo Stato non è riuscito a proteggere Falcone e in quell’atroce 23 maggio del 1992, sull’autostrada Palermo-Maza del Vallo, all’altezza del comune di Capaci, non ha saputo proteggere la moglie Francesca Morvillo e i suoi tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. E prima di lui lo Stato è venuto meno con altri magistrati e uomini delle forze dell’ordine. E dopo, il 19 luglio del 1992, con Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una serie di inadempienze mortali che non ha fermato comunque la nostra coscienza civica se Falcone e Borsellino restano il simbolo di una speranza.
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