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Israele ritarda invasione Gaza Guerra ed affari: i missili "Iron Dome" nuovo interesse Usa

Aggiornamento: 25 ott 2023


Secondo Wall Street Journal, Israele avrebbe accettato di ritardare l'invasione di Gaza. La decisione sarebbe in linea con i tempi necessari al Pentagono di schierare i sistemi di difesa antimissile per proteggere le basi e i civili americani. Lo stesso quotidiano, attento ai risvolti economici, sottolinea che La guerra di Israele contro Hamas "ha ravvivato l'interesse dormiente degli Stati Uniti nella produzione di munizioni per il sistema di difesa missilistica israeliano Iron Dome", e si tratterebbe, per stessa ammissione di funzionari dell'esercito e dell'industria americani, di uno sviluppo che aiuterebbe un alleato regionale degli Stati Uniti a rifornirsi per futuri conflitti.[1]

Ma, per rimanere su Gaza, Tel Aviv non ha mai nascosto che l'ingresso a Gaza dell'IDF, con tutto quello che ne conseguirà in perdite di vite umane, è stato deciso dal giorno dell'attacco di Hamas, dal 7 ottobre scorso. E si tratta di una preparazione ad una guerra su scala regionale che non vedeva, però, ancora pronti gli Stati Uniti. Il che appare una contraddizione di termini, se si ritorna all'invito del presidente Usa Joe Biden a Israele a non commettere gli stessi errori che fece Washington dopo l'11 settembre del 2011.

Evidentemente, o la Casa Bianca è vittima di un fenomeno dissociativo che porta il suo inquilino a suggerire prudenza e nello stesso tempo ad aumentare il suo potenziale militare nell'area o si è in presenza di una strategia coordinata per frenare l'Iran, principale sostenitore di Hamas e Hezbollah, e contenere la protesta degli Stati arabi da un lato, e dall'altro prendere tempo con il premier Netanyahu per favorire una soluzione diplomatica e il progressivo rilascio degli ostaggi. Certo è che da oggi, dopo tre settimane di inconcludenti discussioni, con l'elezione a portavoce della Camera del repubblicano conservatore Mike Johnson, alleato semisconosciuto di Donald Trump, Biden dovrà muoversi con grande accortezza per far votare gli aiuti militari a Israele.

Sul piano internazionale, poi, le critiche rivolte a Israele dal Segretario generale dell'Onu Guterres davanti al Consiglio di Sicurezza hanno lasciato il segno[2] e mostrato chiaramente che il diritto a difendersi dello Stato di Israele non è vissuto con gli stessi parametri da tutte le nazioni e, soprattutto, produce ripulsa in quella parte dell'opinione pubblica che non è disposta ad accettare la legge del taglione, "occhio per occhio, dente per dente". E le cifre dei palestinesi morti, dettati da agenzie e mezzi di informazione con ragionieristica pignoleria, sono vittime che anche il mondo occidentale, saturo di distruzioni e dell'accettazione di violenze e di guerra come unica forma di soluzione delle controversie, fatica a condividere acriticamente con Tel Aviv. Lo stesso monito che Israele lancia all'Occidente quale prossimo obiettivo di Hamas si trascina dietro una scia di diffidenza e di pericolosi sospetti di provocazione. Al 18° giorno di guerra, i palestinesi caduti sotto il fuoco dell'esercito israeliano ha superato 6.500 unità, con una media di circa 350 al giorno, di cui una parte consistente bambini, contro i 1400 morti israeliani. Con quella media, tra venti giorni, il governo potrà annunciare di aver ucciso 14 mila palestinesi, cioè 10 per ogni israeliano morto: una proporzione che ci riporta a uno dei periodi più bui per l'umanità. Ma quello non sarà un bel giorno per il popolo che ha subito la Shoah e neppure per il mondo intero. Non a caso, l'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama si è unito all’appello di Biden, ricordando che "Israele ha il diritto di difendersi, ma la sua strategia militare rispetti il diritto internazionale".


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