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Un Primo Maggio "inclusivo e pacifico"

Aggiornamento: 4 mag

di Vice



L'invito rivolto dai sindacati Cgil, Cisl e Uil torinesi è quello di festeggiare il I Maggio in modo "inclusivo e pacifico, non turbato da scontri e polemiche". Perché il tema della Pace è quello che dà il titolo alla festa. E la pace, come hanno detto congiuntamente i sindacati, si esercita anche in corteo. Corteo che parte alle 9 da piazza Vittorio Veneto, ma che dà le spalle a via Po, bloccata da lavori. L'itinerario previsto è quello che da lungo Po Cadorna risale corso San Maurizio, viale dei Partigiani, e da piazza Castello conduce attraverso via Roma in piazza San Carlo dove alle 11 Gianni Cortese, segretario generale della Uil Torino e Piemonte, tiene il comizio conclusivo. Prima di lui davanti al microfono prendono la parola un esponente della Gioc (Gioventù Operaia Cristiana), un delegato della Cisl Fp che lavora all'ospedale Mauriziano, un delegato della Uiltucs impiegato presso il Carrefour e un delegato della Fiom che lavora agli enti centrali di Mirafiori.


Oggi si festeggia il 1° Maggio, la festa dei lavoratori ritrovata dal popolo italiano, che scende pacificamente nelle strade in corteo e affolla le piazze per i comizi celebrativi, dopo il ventennio del Regime fascista, protagonista maiuscolo di una guerra d’aggressione e responsabile di una crudele guerra civile: anni di lutti e di immani distruzioni materiali e morali. Dunque, è un dovere civico collegare il 25 Aprile appena festeggiato al giorno simbolo per i lavoratori e per la nostra Repubblica e la nostra Costituzione che nel lavoro ha il suo fondamento. Ricordare e trasmettere alle giovani generazioni il significato valoriale che alcune date rappresentano per la memoria degli italiani non è un esercizio calligrafico, ma una straordinaria opportunità di essere autentici nella scelta della democrazia e della libertà che dall'antifascismo hanno preso forma e sostanza. Condividerle può anche essere facoltativo, ma accettarle è un obbligo. In caso contrario, si è traditori della Patria. E non quella di un passato remoto costruita sulla violenza, ma quella libera dal Secondo dopoguerra grazie al sacrificio collettivo e non a costo zero di chi permette ad altri anche il lusso di contestarne i valori.

Fu così fin dal Primo Maggio del 1945 che vide la maggioranza degli italiani gioire del proprio coraggio per avere contribuito a sconfiggere i nazifascisti. E non è stata una fiammata per i lavoratori che hanno costruito la nuova Italia. Ne erano convinti coloro che il Primo maggio del 1945, si riversarono in Piazza del Popolo a Roma per una imponente manifestazione di folla, la prima dalla liberazione della capitale avvenuta il 4 giugno dell'anno precedente. Al nord, a Torino, il primo giorno di maggio arrivò al termine di tre giorni di furiosi combattimenti in città e nei comuni della prima cintura, alcuni dei quali investiti dalla furia nazista in fuga. La vera festa di popolo avvenne il 6 maggio, quando in piazza Vittorio Veneto le divisioni partigiane sfilarono davanti alle autorità civili e militari.

L’Italia era in ginocchio e furono piaghe che tardarono a rimarginarsi, nonostante lo sforzo della Ricostruzione e la voglia di emancipazione che vivificava il Paese. Immense le rovine, diffuse miseria e disoccupazione, controverso il reinserimento nella società civile di reduci e partigiani, mentre sullo sfondo rimaneva l’allarme della violenza fascista. Sempre in agguato, come nella notte d’antivigilia del 1° maggio 1946, quando un gruppo di fascisti armati penetrò nella stazione radio di Monte Mario con il proposito, realizzato, di trasmettere per alcuni minuti canzonette del passato regime e un discorso di propaganda in onore di Benito Mussolini. Il prologo a una scorribanda di alcuni militari che con il lancio di due bombe e spari di rivoltella contro le finestre di un partito politico esaltavano il fascismo.

Estremismo infantile, rumoroso e velleitario se paragonato a quanto accadde il Primo Maggio del 1947 a Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, dove a scorrere fu il sangue dei contadini e delle loro famiglie, manifestanti in festa per chiedere anche la soppressione del latifondo. Il crepitio delle mitragliatrici della banda mafiosa di Salvatore Giuliano al servizio dei separatisti siciliani uccise undici persone e ne ferì decine. Portella della Ginestra, prima strage politica del dopoguerra.

Il Primo Maggio del 1948, si apre con una tragedia endemica per il Paese: le morti sul lavoro. Nel giorno di vigilia, 15 operai persero la vita, decine furono i feriti, per il cedimento di un ponte in costruzione sul fiume Savio, nei pressi di Montecastello in Emilia Romagna.

Il Primo Maggio del 1951 risente degli echi della guerra in Corea e i cortei attraversano le strade nel segno del Lavoro e della Pace; un afflato che materializza l’universalità di un valore: negli anni Cinquanta del Novecento al 38° parallelo e in Indocina, oggi in Ucraina e nel Vicino oriente, nella Striscia di Gaza, contro i mercanti di morte.

Il Primo Maggio del 1955, la festa guarda con speranza al Quirinale, dove è salito l’ex sindacalista Giovanni Gronchi, ma porta anche con sé una novità che sembra preludere a un nuovo tentativo di divisione tra i lavoratori: le Acli organizzano una loro manifestazione. Giuseppe Di Vittorio, leader della Cgil, scrive, consapevole del difficile momento per la sua organizzazione dopo la grave sconfitta nelle elezioni di commissione interna della Fiom-Cgil alla Fiat: “Ma noi respingiamo la manovra. Non vogliamo essere nemici dei lavoratori delle Acli che consideriamo nostri fratelli, giacché essi hanno interessi, aspirazioni e destini comuni con noi. Un decennio più tardi, la storia darà ragione alla lungimiranza di Giuseppe Di Vittorio.

Il Primo Maggio del 1962 si specchia nei successi economici del Paese che hanno migliorato le condizioni di vita dei lavoratori; conquiste importanti sul piano salariale, previdenziali e, soprattutto, pur tra luci e ombre, in una convergenza di interessi tra i tre sindacati, in quel cammino difficile e irto di ostacoli che è l’unità sindacale, messa nuovamente in discussione ai giorni nostri. Ma in quel Primo Maggio, non a caso caratterizzato dalle parole d’ordine disarmo e progresso, il mondo è attraverso dai prodromi di una grave tensione nei rapporti tra Est ed Ovest che di lì a pochi mesi, il 22 ottobre, porta Usa e Urss vicinissimi al confronto nucleare per la crisi dei missili a Cuba. Il dialogo ritrovato tra Jfk Kennedy e Krusciov, unito alla grande capacità di mediazione della Chiesa Cattolica sulla spinta degli accorati appelli di Papa Giovanni XXIII, scongiurano un olocausto nucleare.

Il Primo Maggio 1975, data storica che assumiamo come un vaticinio per quella di oggi: è il ritorno alla Pace, la fine della guerra in Vietnam. Scrisse Enrico Berlinguer su l’Unità: “E' la vittoria dell'aggredito sull'aggressore, del diritto sulla prepotenza, della ragione sulla ferocia”. Se si sposa questo assunto, esso deve valere anche per l’Ucraina e per il popolo palestinese. Senza se e senza ma. Una vittoria è comunque fermare la guerra, prima che la situazione diventi catastrofe irreversibile.

 

 

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