Suicidio assistito: ritardi legislativi inaccettabili
Aggiornamento: 21 set 2022
di Chiara Laura Riccardo
Abbiamo a lungo trattato il tema del suicidio medicalmente assistito su La Porta di Vetro1, a partire dal marzo scorso quando, la Camera, ha dato il via libera al testo sulle “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” Oggi, ancora in attesa che la legge arrivi in Senato, è doveroso tornare a parlarne. Il 16 giugno, infatti, è morto Federico Carboni, la prima persona in Italia ad aver chiesto e ottenuto di poter ricorrere al suicidio medicalmente assistito.
Queste le parole che Federico ha lasciato in sua memoria: “Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l’Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro Paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”. La storia di Federico Carboni
Un messaggio, questo, che ci obbliga ad una profonda riflessione, sia sul senso della vita che sulla necessità di continuare a “fare attivamente” qualcosa a supporto di situazioni come queste. Federico, aveva 44 anni, era tetraplegico e immobilizzato da oltre dieci anni a causa di un incidente stradale e, lo scorso febbraio, dopo una lunga battaglia legale ha ottenuto l’autorizzazione al suicidio assistito. Alla battaglia con la vita, dunque, si è aggiunta la battaglia con la giustizia. La battaglia legale e, di conseguenza, umana che Federico ha dovuto subire, ha visto due procedimenti giudiziari che hanno portato a una condanna nei confronti dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche atta a verificare se Federico possedesse le condizioni previste dalla Corte Costituzionale per accedere al suicidio assistito (capacità di intendere e volere, presenza di una patologia irreversibile arrecante gravi sofferenze, dipendente da trattamenti di sostegno vitale). Appurata la presenza di tutti i requisiti, il parere è risultato privo della parte di verifica del farmaco e delle modalità per procedere, dunque è stato avviato un nuovo processo a carico dell’Azienda Sanitaria che ha esitato in parere favorevole nel febbraio 2022. Giurisprudenza e burocrazia
Federico ha dovuto attendere oltre un anno per procedere nella sua scelta in quanto, al susseguirsi di procedimenti giudiziari, si è anche aggiunto il fatto che lo Stato italiano, non essendoci ancora una legge a riguardo, non si sarebbe fatto carico dei costi di assistenza al suicidio assistito e di erogazione del farmaco. Pertanto Federico, ha dovuto personalmente sostenere i costi della procedura, con l’aiuto di una raccolta fondi promossa dall’Associazione Luca Coscioni (circa 5.000 euro per il farmaco, la strumentazione e l’intervento medico). In questo quadro di assenze plurime (umane, legislative, ecc…), manca anche un dispositivo legislativo per regolare l’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 sul caso Cappato-Dj Fabo (sentenza che ha reso possibile per Federico l’accesso al suicidio assistito). Ma oggi, chi può davvero stabilire le caratteristiche per l’accesso a questo tipo di “diritto”, il diritto di morire? Il dibattito è molto aperto. Le posizioni continuano ad essere diverse. Da una parte chi è favorevole al fatto che, qualora una persona non ritenga più la propria vita degna di essere vissuta, possa decidere in modo libero cosa fare. Dall’altra parte chi ritiene la vita un bene non di nostra proprietà e pertanto chiede che venga fatto tutto il possibile per difenderla e accompagnare la persona al fine vita (hospice, cure palliative, ecc…). Questo anche in funzione del giuramento di Ippocrate per la classe medica che recita: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio». Libertà di scelta nelle parole del teologo Hans Küng
Molti riportano in questi giorni l’opinione sul tema del teologo Hans Küng, malato di Parkinson, il quale sostiene che “nessuno è obbligato a soffrire l’insopportabile come qualcosa di mandato da Dio. La gente deve poter decidere da sé e nessun prete, medico o giudice può fermare questa libertà di scelta”. Ogni posizione merita rispetto e aiuta a integrare riflessioni all’interno di una complessità che ruota intorno ai principi e ai valori di libertà, qualità e dignità. Ora molti si domandano cosa succederà in Italia, dopo il primo caso di suicidio assistito. In un’Italia dove una legge importante è da mesi abbandonata in un cassetto della commissione Giustizia del Senato. Un’Italia dove Federico attendeva da mesi e mesi una risposta alla sua richiesta di essere sottoposto alla verifica delle proprie condizioni per poter procedere nella sua scelta. Un’Italia che oggi, nelle parole del Ministro della Salute, Roberto Speranza, sembra trovare una nuova apertura. Il ministro infatti afferma che il governo interverrà per “garantire d’intesa con le Regioni, l’attuazione della sentenza della Corte costituzionale del 2019 sul suicidio medicalmente assistito. Una volta che la procedura di verifica del rigoroso rispetto delle condizioni individuate dalla Consulta sia stata completata le strutture del servizio sanitario nazionale non possono assumere atteggiamenti ostruzionistici, né è ipotizzabile che i costi siano a carico del paziente che si rivolge, come espressamente previsto dalla sentenza della Corte costituzionale, a strutture pubbliche. Anche su questo aspetto il governo, laddove ve ne sia bisogno, non farà mancare un tempestivo chiarimento e intervento”. Già superata… la proposta di legge?
La proposta di legge ferma da mesi nel cassetto del Senato, ricordiamolo, prevede che la persona debba trovarsi nelle seguenti concomitanti condizioni: essere affetta da una patologia attestata dal medico curante e dal medico specialista che la ha in cura come irreversibile e con prognosi infausta, oppure essere portatrice di una condizione clinica irreversibile, che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche che la persona stessa trova assolutamente intollerabili; essere tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente. Molte le voci a sostegno del fatto che, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, la proposta legge in discussione sia, nei contenuti, ormai superata e addirittura peggiorativa della sentenza. Peggiorativa soprattutto per quanto concerne la verifica della sofferenza psicologica intollerabile, prevista come condizione indispensabile nel disegno di legge, ma non nella sentenza della Corte. Non è detto, infatti, che una sofferenza psicologica insopportabile sia necessariamente presente nei malati irreversibili, e questo potrebbe divenire un ostacolo, per la persona malata, all’accesso al suicidio medicalmente assistito. Sono quasi 4 mila le persone in Italia che ogni anno si rivolgono all’associazione Luca Coscioni per il fine vita e, dopo il mancato svolgimento del referendum sull’eutanasia legale e il perdurare delle difficoltà di legiferazione in Parlamento forse le parole di Federico assumono la veste di monito per tutti: “Il mio corpo non ce la fa più. Ho vissuto bene, mi mancheranno anche questi anni dopo l’incidente, ma adesso non ce la faccio più. Vado via col sorriso”. Note
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