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Ritorno in Dad: la scuola è figlia di un dio minore?

di Marco Bollettino.


Domenica, 9 gennaio 2022, in una località turistica montana in zona gialla. Giulia si è svegliata presto perché oggi è l’ultimo giorno di vacanza e lo vuole sfruttare bene. Al bar incontra Luca e Chiara e i tre amici, tra un cappuccino e un cornetto, commentano il film Spider-Man che hanno visto la sera prima, al cinema. Ma le piste aspettano ed è ora di andare. Una piccola funivia li porta in quota e, così, inizia una lunga serie di discese mozzafiato su una neve bellissima. A pranzo una polenta concia al rifugio e poi, ahimè, bisogna scendere a valle, perché è ora di tornare a casa in città.

Due ore di pullman, 20 minuti di metro e il rientro ha l’amaro sapore delle vacanze che sono oramai finite. Prima, però, ci sta ancora un giro al centro commerciale e una pizza con gli amici della scuola. Ed è proprio al ristorante che riceve la notizia: la scuola non riapre in presenza, in Italia ci sono troppi contagi e quindi il rientro è rimandato: da domani tutti in Dad.


La storia è ovviamente inventata, ma descrive quello che potrebbe accadere nei prossimi giorni: tutti i suoi protagonisti sono vaccinati, hanno il Green Pass rafforzato, e pertanto sono andati tranquillamente al bar, in funivia, sul bus, in metro, al ristorante e al cinema senza problemi. Sono luoghi al chiuso, con un andirivieni di gente e ventilazione non sempre ottimale. In due di questi hanno addirittura mangiato e bevuto, senza mascherina. Nessuno pensa di chiudere quei locali, ma la scuola sì? Perché? La risposta è semplice: chiudere la scuola è facile e si dà l’idea di “star facendo qualcosa”. Se si chiudono i ristoranti il danno economico è evidente, mentre ci siamo convinti che nella scuola basti passare alla didattica e distanza (o, se volete, "didattica digitale integrata") e sia tutto come prima. Non lo è.


Non è solo questione di risultati di apprendimento, che in Dad calano non perché la “scuola in presenza” sia un valore in sé, ma perché - è inutile nascondersi dietro a un dito – si fa già fatica ad essere efficaci in presenza, figuriamoci a distanza. Dovremmo ripensare la didattica, le strategie comunicative, la valutazione, tutto quanto. E, invece, il più delle volte in Dad abbiamo riproposto, estremizzandola, una lezione cattedratica di fronte a 25/30 schermi neri e silenziati. Ma, come dicevo, i risultati di apprendimento non sono tutto. Questi ragazzi hanno bisogno di socialità, di vedersi, parlarsi, stare insieme. Se non lo fanno a scuola, lo faranno comunque fuori, dove tutto è aperto. Finita la Dad, si va in palestra e poi in pizzeria, con i compagni di classe.


Certo, ci saranno i contagi, ma non ci eravamo vaccinati proprio per spostare il focus dal numero di contagi quotidiano a quello di ospedalizzati gravi? Non avevamo imposto il Green Pass e poi l’obbligo vaccinale al personale scolastico proprio per tenere aperte le scuole? E allora, se ci saranno i contagi (e ci saranno) li gestiremo come abbiamo sempre fatto fino al 23 dicembre.


A questo proposito, un suggerimento a bassa voce e fuori da ogni polemica: è inutile fare regole complicatissime e differenziate tra vaccinati e non, quando i tamponi agli alunni arrivano più di una settimana dopo la comunicazione della positività di un loro compagno. Lo Stato si premuri di farli arrivare in un tempo congruo alle esigenze e bisogni.



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