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"Le Giunte rosse" del triangolo industriale: tra memoria e presente/3

di Sergio Scamuzzi


Domani 19 giugno, a partire dalle ore 15, il Polo del '900, in via del Carmine 14, ospiterà un convegno dedicato all'esperienza delle "Giunte rosse" della seconda metà degli anni Settanta nelle città del triangolo industriale Genova-Milano-Torino. L'iniziativa della Fondazione Gramsci in collaborazione con la Porta di Vetro, prende spunto dalla pubblicazione del libro di Giorgio Bigatti "Giunte Rosse Genova Milano Torino 1975-1990" edito da Mimesis. Presentiamo alcune considerazioni di uno dei relatori, il prof. Sergio Scamuzzi.


Torino la città più fordista dell’Italia nel Novecento è una definizione attendibile secondo storici e sociologi che l’hanno studiata e anche per alcuni che l’hanno vissuta. Torino è un caso estremo di un modello, complementare, anche in politica: quello delle giunte rosse 1975-1990 nel triangolo industriale. Molti elementi depongono per questa tesi nelle analisi raccolte in un recente volume di Giorgio Bigatti. Utile quindi ricordare gli ingredienti del modello, anche per trarne spunti per comprendere le fasi storiche successive.

Torino e l'esperienza della giunta Novelli

La ‘giunta Novelli’ è ricordata per le sue importanti realizzazioni che possiamo ricondurre al decentramento e alla istituzionalizzazione della partecipazione, in un periodo di grande attività di movimenti, al welfare locale (scuole, verde, sport, sevizi sociali, edilizia popolare) e alla connessa integrazione della imponente immigrazione dal sud, alle politiche del territorio (pedonalizzazione, trasporti, piani), a vere innovazioni quali furono una politica per la cultura e per i giovani, non previste in alcuno statuto locale, e per l’informatica pubblica (il CSI, Consorzio per il sistema informativo).

Che cosa le rese possibili, una volta vinte ma di misura le elezioni? Indubbio il sostegno politico, organizzativo, e anche di conoscenza del PCI all’apice della sua espansione e il contesto di partiti alleati, il PSI, e opposti, la DC, resi funzionalmente omologhi dal fatto di essere classici partiti di massa sostenuti da un voto di appartenenza stabile e associazionismo. La giunta poteva spendere molto e anche implementare velocemente decisioni politiche, e la macchina amministrativa del Comune era imponente e articolata, dal punto di vista dei canoni attuali.


La stagione del terrorismo

Il vero problema è: perché un modello così efficace e radicato in pochi anni va in crisi? Un contesto avverso e una trasformazione epocale sono le cause, la prima più diretta, la seconda soggiacente. La stagione del terrorismo fu fronteggiata, non solo a Torino, dal Pci e dalla giunta con molta determinazione, ma a Torino la sua coniugazione perversa con la conflittualità operaia nella opinione pubblica, e una reazione forte ad essa della Fiat e di una larga parte dei suoi dipendenti, intaccarono il consenso guadagnato. Non bastarono tentativi di dialogo tra le parti per ricomporre la situazione, oltretutto non sostenuti dalla dirigenza nazionale del Pci. La trappola della sconfitta eroica scattò inesorabile per il sindacato ma anche indirettamente per il PCI che iniziava il suo declino insieme con gli altri partiti di massa


Dal fordismo alla deindustrializzazione

Ma la vicenda resterebbe incomprensibile senza cogliere la trasformazione epocale iniziata negli anni 80 dal fordismo al postfordismo: deindustrializzazione, finanziarizzazione del capitale, competizione internazionale sulla conoscenza. Fu in qualche modo rallentata e fraintesa. Non fu colta appieno in tutta la sua profondità da idee allora condivise tra studiosi, imprese e politici – ricordiamo le prospettive di ‘nuovo modello di sviluppo’ e noti studi di Siniscalco e Momigliano - di una terziarizzazione come esternalizzazione di servizi di impresa che poteva creare lavoro più qualificato per un parte della popolazione e di una disoccupazione e inoccupabilità gestibili, come dimostrava l’esperienza virtuosa della Cig sui dipendenti Fiat espulsi, governata da azienda, sindacati e amministrazione locale contenendo gli inevitabili drammi sociali e i temporanei successi dell’automazione in Fiat e della diversificazione GFT. La struttura economica monoculturale fece il resto è motivò la diversa transizione ad esempio di Milano, come le analogie con Genova.


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