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Iran, oggi a Doha è anche la partita della libertà

Aggiornamento: 7 dic 2022

di Yoosef Lesani


Gli iraniani, in patria e all'estero, vivono con il fiato sospeso queste ore che precedono Inghilterra-Iran, sfida ai Mondiali di calcio in Qatar, in programma allo stadio Khalifa di Doha, .alle 14 di oggi, 21 novembre. L'attenzione è spasmodica. Il popolo iraniano si chiede che cosa accadrà in campo alle note degli inni nazionali. I calciatori iraniani lo canteranno? O si chiuderanno in un simbolico silenzio per denunciare la repressione feroce del regime oscurantista degli ayatollah che insanguina il Paese dal 16 settembre, dalle proteste della piazza contro l'omicidio della giovane curda Mahsa Amini? Nei giorni scorsi, il capitano della nazionale Ehsan Hajsafi ha affermato che la nazionale iraniana è la "voce del popolo", ma che quello stesso popolo è scontento, non è felice. Del resto, come potrebbe esserlo, dopo 67 giorni di mobilitazione in 243 città e in tutte le 31 province, con oltre 600 persone uccise dalle forze di sicurezza dei mullah, di cui 466 identificate, 58 minorenni, dalla principale forza di opposizione che denuncia anche più di 30.000 arresti?

La vetrina del Mondiali in Qatar, una manifestazione costata 6.500 morti sul lavoro per la costruzione di stadi e infrastrutture, secondo la denuncia del quotidiano britannico Guardian, deve diventare per la comunità internazionale una grande opportunità di denuncia dell'oppressione che il clero iraniano esercita da oltre quarant'anni sul popolo. Ma nello stesso tempo, è necessario contrastare con intelligenza e continuità la possibilità che lo sport si trasformi in un potente veicolo di propaganda per i tiranni di Teheran. Il riscxhio è dietro l'angolo.

La storia si ripete e potrebbe ancora riproporsi in questa circostanza. Lo fu in un passato remoto, quanto la nazionale italiana di calcio vinse la Coppa Rimet (i mondiali calcistici dell'epoca) nel 1934 e nel 1938 salutando con il braccio teso Benito Mussolini ed esaltando lo spirito fascista. Scene apologetiche che si riproposero alle Olimpiadi del 1936 a Berlino, con Hitler e i gerarchi nazisti in prima fila allo Olympiastadion. E, in tempi meno lontani, i Mondiali in Argentina nel 1978 con quel popolo costretto a vivere in uno stato di polizia sotto il tallone della feroce dittatura della giunta militare del generale Videla. Occasione oggi, per ricordare Hebe Bonafini, scomparsa ieri a 93 anni, leader delle madri di Plaza de Maya. Quelle madri che per prime a volto scoperto ebbero il coraggio civico e politico di reclamare dai massacratori del popolo argentino la sorte dei loro cari, figli, nipoti, inghiottiti dalle segrete delle camere di tortura o dalle acque dell'Oceano.

Oggi, dunque, gli occhi saranno puntati sui calciatori della nazionale iraniana più che mai stretti tra le pretese del Potere della Federazione calcistica e il dovere per lealtà sportiva di competere al meglio delle loro capacità da una parte, e l'esigenza di non cancellare con l'entusiasmo populistico di novanta minuti di gioco la violenza che quotidianamente dilania l'Iran dall'altra parte. Tuttavia il calcio iraniano non è rimasto alla finestra e ha rifiutato la logica dell'equidistanza dagli avvenimenti. Una delle leggende calcistiche dell'Iran, l'ex attaccante Ali Daei, è stato arrestato mentre partecipava a un corteo di protesta. E dall'estero, Mahmood Ebrahimzadeh, 65 anni, calciatore iraniano a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, tra i primi a giocare in Bundesliga (quattro anni nello Wolfsburg), oggi in esilio negli Usa, ha lanciato appelli alla comunità internazionale perché sostenga la rivolta. E nei giorni scorsi, come hanno riportato le cronache, i calciatori del club iraniano dell'Esteghlal sono stati protagonisti di un clamoroso gesto, rifiutandosi di festeggiare alla consegna della Super Coppa appena vinta, mentre ad inizio di ottobre la squadra di Teheran del Persepolis aveva indossato braccialetti neri in segno di lutto per le vittime di una repressione che non toglie il piede dall'acceleratore.


Gli ultimi avvenimenti Insurrezione di Mahabad, attacchi del regime con veicoli corazzati, proteste a livello nazionale con mitragliatrici pesanti , risposta decisa di giovani ribelli agli avvertimenti di Khamenei. Sabato sera, 19 novembre, 65 ° giorno della rivolta, la città di Mahabad, divenuta teatro di massicce proteste pubbliche dopo il corteo funebre di Kamal Ahmadpour, è stata attaccata da forze repressive e unità speciali. Le forze del regime sono entrate in città a bordo di veicoli blindati e hanno avviato una intensa sparatoria contro le persone e prendere di mira le loro case senza sosta. Il rumore degli spari poteva essere sentito da tutte le parti della città. Il regime ha anche tagliato l'elettricità della città.

In Iran, l'uso delle armi da fuoco sulla folla è diventato ormai l'unica opzione per il contrasto alla protesta:. venerdì 11 novembre le forze di sicurezza hanno immediatamente aperto il fuoco nella provincia del Sistan e Belucistan, a Zahedan, Khash, Saravan, Sarbaz, Iranshahr, Rask e Pishin, dove si sono formati grandi cortei nelle strade dopo la preghiera del venerdì. Tuttavia, i manifestanti ribelli hanno resistito e respinto le forze oppressive.

La protesta insiste e non arretra in tutte le università del Paese. Il 5 novembre, gli studenti universitari di varie città hanno tenuto manifestazioni e sit-in. L'elenco è lunghissimo: nella sola Teheran, studenti di Università di Teheran, Università di Scienza e Tecnologia, Università Amir Kabir, Università Azad di Nord Teheran, Facoltà di Ingegneria dei Materiali, Meccanica e Architettura dell'Università Sharif, Facoltà di Chimica dell'Università Azad, Dipartimento di Scienze della Ricerca , Facoltà di Scienze Sociali, Facoltà di Ingegneria Civile, Campus Nord e Università Allameh hanno organizzato sit-in di protesta e sciopero.

Venerdì sera nella cittadina di Ekbatan presso Teheran manifestanti hanno acceso un fuoco e cantato: “Sacrifichiamo le nostre vite; siamo stufi dell'oppressione". Nel distretto di Kianpars di Ahvaz, nel sud-ovest dell'Iran, giovani locali hanno tenuto una manifestazione notturna, cantando "Morte al dittatore". Ci sono state proteste anche a Bandar Abbas, Sanandaj, Bushehr e in altre città.

Giovedì 10 novembre, attivisti in numerose città curde hanno riferito di continue manifestazioni di protesta mentre la gente del posto si riversava nelle strade per prendere il controllo di città e distretti.

Il 3 novembre si sono svolte manifestazioni su larga scala in varie città per commemorare i martiri. Dopo il tramonto, manifestanti a Teheran, Shiraz, Fasa, Babol, Anzali, Lahijan,Tabriz, Urmia, Sanandaj, Kermanshah, Kamiyaran, Qasr Shirin, Marivan, Saqqez, Baneh, Bijar, Dehlran, Takestan e molte altre città si sono scontrati con le forze repressive del regime. Hanno bloccato le strade accendendo fuochi e cantando slogan.

A Qazvin, a nord-ovest di Teheran, una grande folla ha assistito a una cerimonia commemorativa in occasione del 40° giorno del martirio di Javad Heydari. La gente cantava: "I mullah devono perdersi".

Martedì 2 novembre si è svolta in un cimitero di Teheran la cerimonia del 40° giorno del martirio di Siavash Mahmoudi. Una grande folla ha assistito alla cerimonia e ha cantato: “Quest'anno è un anno di sacrificio; Seyyed Ali (Khamenei) sarà rovesciato".

Il 31 ottobre, Teheran e varie altre città sono state teatro di manifestazioni notturne e scontri ‘colpisci e corri via’ con le forze repressive. I residenti del distretto di Ekbatan a Teheran hanno continuato a manifestare di notte. Questa zona è diventata uno dei centri delle rivolte notturne. La città di Tabriz, tra le tante, è stata anche teatro di manifestazioni notturne e scontri “colpisci e corri via” con le forze repressive.

Il 30 ottobre, le forze di soppressione, tra cui IRGC, i paramilitari Basiji e agenti in borghese, hanno attaccato molti studenti sparando gas lacrimogeni e hanno aperto il fuoco all'Università Azad di Nord Teheran, all'Università tecnica femminile di Sanandaj e alla Facoltà di Psicologia dell'Università di Teheran a Geisha. Gli studenti si sono scontrati con le forze repressive.


La controffensiva del Regime oscurantista

Il 7 novembre, Gholam Hossein Mohseni Eje, capo della magistratura del regime, ha minacciato i manifestanti di pena capitale. "I funzionari della magistratura dovrebbero agire rapidamente per condannare e punire i rivoltosi", ha affermato, secondo il quotidiano statale Keyhan.

Negli ultimi giorni, i funzionari del regime iraniano hanno minacciato i manifestanti nel tentativo di reprimere le proteste. Dopo le minacce del comandante delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC), Hossein Salami, la magistratura del regime ha condannato all'esecuzione sei manifestanti arrestati.

Sabato scorso, i media statali iraniani hanno annunciato che è pronta l'incriminazione di 1.095 degli arrestati

della rivolta in almeno sette città e il processo di 315 di loro è iniziato in un tribunale di Teheran, presieduto dal famigerato Abolqasem Salavati. Salavati ha emesso numerose condanne a morte per manifestanti e dissidenti detenuti negli ultimi anni.

 


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