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L'atomica coerenza di Liz Truss

Aggiornamento: 7 set 2022



di Vice


Da ieri, 6 settembre, si dovrà essere grati a Liz Truss, la neo premier conservatrice che ha preso le redini del Regno Unito al posto di Boris Johnson, sfrattato da Downing Street 10 per una sequela di defezioni e scandali non propriamente edificante. Nel suo discorso di iniziazione, infatti, l’esponente Tory ha accantonato le convenzioni e la traccia di ipocrisia che fa velo in quelle circostanze per precisare qual è la sua opinione sulla guerra che si combatte in Ucraina. O meglio, ha specificato senza troppi giri di parole la sua strategia di contrasto estremo alla Russia di Putin: “Se la situazione mi richiederà di premere il pulsante nucleare, lo farò immediatamente. E non importa se moriranno milioni di cittadini, per me la cosa principale è la democrazia e i nostri ideali”.


Dunque, Liz Truss, nata il 26 luglio del 1975, ottantasette giorni dopo l’uscita dalla guerra del Vietnam, si dichiara pronta a entrare in una sfida nucleare che tendenzialmente non promette nulla di buono, se non un’ecatombe. Ma attenzione, non siamo dinanzi a un dottor Stranamore al femminile, perché Liz Truss ha riportato senza più infingimenti lo scenario concreto che si profila dietro l’angolo se l’Occidente dovesse passare da una guerra per procura, che combatte con le sanzioni e con l’invio di armi pesanti all’Ucraina, all’impegno diretto contro il Cremlino. Una posizione in linea, onesta e coerente rispetto ai propri principi, con quella espressa ancora di recente dai vertici stessi delle forze armate del Regno Unito.


Del resto, se il lessico internazionale continuerà a proporre, salvo rare eccezioni - Papa Francesco continua a essere una voce tristemente isolata -, parole divisive e virulente, che escludono a priori pace o tregua, il tunnel in cui siamo finiti sicuramente non ci negherà al fondo l’agognata luce, però lo si metta in conto, non potrà che essere quella accecante e devastante dell’atomica. Le guerre, come insegna la storia, si producono attraverso scatti, eventi, rotture impreviste, disponibilità annunciate a rinunciare alla vita per la morte. Esattamente come ha dichiarato Liz Truss e prima di lei gli uomini vicino a Putin.


Immaginare che un Paese dall’immenso arsenale atomico e convenzionale come la Russia possa essere disponibile a cedere è pura illusione. Si è battuta e ha vinto contro Napoleone, ha sacrificato oltre 20 milioni di vite a Hitler per poi issare la bandiera rossa sul Reichstag, mai s’inchinerà ai valori democratici, ma invasivi secondo la dottrina dell'autocrate Putin, dell’Occidente. Anzi. La propaganda del presidente della Federazione Russa, si è facili profeti, avrà sempre più frecce al suo arco per colpire la democrazia bollata come imperialismo, per poi appellarsi alla guerra patriottica come fece Stalin nel 1941 e nel 1812 lo zar Alessandro I. Ultimo, fattore non secondario, diversamente da quanto sostiene Kiev, le truppe russe avanzano in Ucraina, andamento logico della guerra per la disparità delle forze in campo, nonostante la preparazione e il rafforzamento dell’esercito ucraino sia in atto da otto anni, dall’invasione della Crimea.


Morale: confidare nel logoramento della Russia, come accadde negli anni Ottanta del Novecento, è mera illusione: l’Ucraina non è l’Afghanistan e la Russia di Putin non è l’Unione Sovietica di Gorbaciov. Inoltre, il mondo non è più diviso in blocchi e la Cina non è un comprimario che chiede il permesso per sedersi tra i Grandi. Anzi. Le mire su Taiwan sono sempre più pressanti e sono destinate a intensificarsi in misura direttamente proporzionale allo sforzo e all’attenzione che l’Occidente riserva all’Ucraina.


Osservato lo scenario, con i focolai di tensione che si moltiplicano, non si potrà che convenire con la lucida coerenza di Liz Truss alla quale forse non farà torto una citazione tratta dal celebre film “Highlander, l’ultimo immortale”: “È meglio bruciare subito, che spegnersi lentamente”. Prima, però, con il massimo e dovuto rispetto per le opinioni della neo premier britannica e del popolo che rappresenta, vorremmo ascoltare anche il pensiero dell’umanità o di quello che resta; del pensiero, sia chiaro, non dell’umanità. Siamo ancora piuttosto restii ai vissuti da "day after", quelli del "giorno dopo".


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