Il silenzio: un diritto diventato un lusso
di Chiara Laura Riccardo e Emanuele Davide Ruffino
Silenzio, dal latino silentium, derivazione di silere, ossia “tacere”, “non far rumore”. Quanti di noi riescono ancora a trovare spazi di “silenzio” in questa società così affascinata dal rumore? Probabilmente ben pochi…non a caso il silenzio viene oggi spesso considerato il “nuovo lusso”. Il traffico stradale, i bip digitali dei device, la musica a tutto volume negli esercizi commerciali, gli ambienti lavorativi e i luoghi per il tempo libero dove il parlare ad alta voce è la prassi, l'uso del telefono in ogni dove senza curarsi di chi ci è accanto, ecc... Ogni giorno e in ogni momento della giornata, generiamo rumore e ne siamo circondati, più o meno consapevolmente. Un fenomeno, questo, che gli esperti definiscono “rumorizzazione degli ambienti di vita”.
Il valore sociale
Innanzitutto, qualche volta, bisogna parlare di buona educazione, perché l’emettere suoni, in certe situazioni e in certi momenti, non corrisponde certo alle regole del galateo (“scienza” cui noi italiani abbiamo dato i natali nel ‘500 con monsignor G. Della Casa che scrisse il “Galateo: trattato di buone creanze”, ma di cui oggi si ritrovano solo più rari e sporadici reperti!): produrre silenzio significa rendersi conto che non esistiamo solo noi, ma che vicino a noi, vivono persone con problemi di cui non siamo minimamente a conoscenza e che possiamo disturbare, spesso anche involontariamente, con i nostri comportamenti.
Seppur non sinonimi, il termine “silenzio” si associa con la capacità di “riflessione”, bene non secondario, anche questo, sempre più raro nella nostra società. Noi oggi possiamo acquisire informazioni a un ritmo che non ha pari nella storia e, grazie ai social, possiamo esprimere giudizi e pareri a un ritmo quotidiano (per non dire incontenibile) ma, il rovescio della medaglia è che abbiamo perso la capacità, il tempo e le condizioni per riflettere.
E se ci chiedessimo quali sono le condizioni per tornare a riflettere, il silenzio è una di queste; un silenzio inteso anche come distanza dai meccanismi che ci possono distrarre (i cellulari in primis, ormai diventati delle protesi indispensabili) e che non ci permettono più di concentrarsi su un pensiero. Probabilmente è appassita quella siepe che permetteva a Giacomo Leopardi di isolarsi e che “da tanta parte dell’orizzonte il guardo esclude”, ma che gli ha permesso di scrivere pagine immortali. Il silenzio sta così diventando sempre più un “lusso” per pochi e non necessariamente la discriminante è la ricchezza, ma il livello culturale che porta a ricercare spunti e momenti per elaborare idee e concetti: il silenzio si costruisce con un lungo lavoro intellettuale cui si accede con la volontà che i singoli riescono a destinare.
Quando diventa salute
Da diversi anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta dirigendo la sua attenzione all’impatto del rumore sulla salute, tanto da, in una delle ultime linee guida europee sul rumore, dichiarare che la rumorizzazione degli ambienti di vita “rappresenta uno dei maggiori rischi ambientali per la salute fisica, mentale e più in generale per il benessere dei cittadini europei”.
È noto, in letteratura scientifica, che il rumore viene interpretato dal nostro cervello come un segnale d'allarme e, come tale, attiva nell’organismo una serie di reazioni: dalla produzione degli ormoni dello stress, all’aumento della frequenza cardiaca e dei livelli di pressione sanguigna, dall’abbassamento delle difese immunitarie alle alterazioni dell’umore e del sonno, con un conseguente peggioramento della qualità della vita. Insomma, è acclarato che il rumore provoca danni. E non è un caso che l’etimologia della parola inglese noise, derivi dal latino nausia (disgusto) e da noxia, che significa proprio danno o lesione.
Già nel 2011, l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnalò che i 340 milioni di residenti nell’Europa occidentale, a causa del rumore, stavano perdendo un milione di anni di vita in salute ogni anno e che la causa principale di 3.000 decessi per malattie cardiache poteva essere ricollegata all’esposizione ad un rumore eccessivo. Nonostante questi allarmi, siamo talmente abituati al rumore come “colonna sonora” quotidiana, che quasi riteniamo che il silenzio sia qualcosa di anomalo, di spiacevole e dunque da evitare. Invece, abbiamo bisogno di silenzio. Un silenzio che, come scriveva Alda Merini in una sua poesia, ci consenta di “raccogliere i pensieri allegri, tristi, dolci, amari” perché “ce ne sono tanti dentro ognuno di noi”.
La ricerca della Johns Hopkins University
Il nostro cervello è in grado di riconoscere il silenzio, nonché di “ascoltarlo”, in quanto esso non è, come erroneamente possiamo pensare, un’assenza di suoni, bensì un qualcosa che possiamo percepire, come sostenuto dai ricercatori della Johns Hopkins University (Goh R.Z. et al., 2023) i quali, alla luce degli esperimenti effettuati, affermano che “se reagiamo al silenzio allo stesso modo in cui reagiamo ai suoni, stiamo davvero ascoltando quel silenzio, e non stiamo solo deducendo che c'è”.
E questa percezione, diviene preziosa per il nostro organismo, in quanto il silenzio reintegra le nostre funzioni cognitive favorendo il rilassamento psicofisico e abbassando i livelli di stress, di cui ognuno di noi sta ormai diventando un testimonial.
Dobbiamo, in una cornice sociale dove purtroppo ci siamo abituati al rumore, provare a rieducarci al silenzio, perché questa sarebbe, come sostiene l’Accademia del silenzio (fondata dal professore di filosofia dell’Università Bicocca di Milano Duccio Demetrio e dalla giornalista Nicoletta Polla-Mattiot) “una scelta ecologica contro l’inquinamento acustico, ma anche contro l’inquinamento esistenziale. Un viaggio di ricerca, che parte da una semplice convinzione: che il silenzio è un’arte, che si può sperimentare, imparare e condividere. E che riscoprire il silenzio significa innanzitutto ricostruire un rapporto diverso con il tempo delle proprie esperienze”.
In un futuro non molto lontano, forse, il silenzio sarà un prodotto da acquistare, ma che difficilmente troveremo a buon mercato nei megastore, per cui sarebbe bene, come per tutte le risorse scarse, cominciare ad nasconderne un po’ in cantina o, più seriamente, non disabituarsi ad ascoltarlo: un esercizio quotidiano che fa bene ad nostro equilibrio psicofisico, per non perdere questa importante funzione.
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