Il nuovo corso della Settimana europea delle Regioni
Aggiornamento: 27 mag
di Matteo Salvai*
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Oltre diecimila presenze, mille relatori, più di 150 seminari: sono le cifre a consuntivo dell’European Week of Regions and Cities, la manifestazione che si è tenuta a Bruxelles da 7 al 10 ottobre. Erede delle fortunate edizioni degli Open Days, la manifestazione non ha mutato la sua finalità. Al suo interno sono gravitate persone che lavorano generalmente a livello regionale e nazionale nella gestione dei programmi e dei progetti di fondi europei. Una buona parte impiegati pubblici che lavorano sui fondi, consulenti, accademici, giornalisti, una comunità eterogenea, unita dalla volontà di raccontare – e se vogliamo difenderne il primato – l’Europa delle regioni e la loro capacità nell’utilizzo dei fondi.
Non è raro che mi si chieda che cosa è cambiato dalle prime esperienze di Open Days. D’istinto mi viene da rispondere nulla, almeno nello spirito. Nel concreto è stato modificato, e non poco, il formato: in origine la manifestazione era rivolta prevalentemente alla politica e al mondo che vi ruota attorno. Oggi si dà più importanza alla dimensione fieristica che si focalizza nel lavoro negli stand. Potremmo dire che si tratta di una evoluzione per costruire un nuovo pubblico e rivolgersi a una platea allargata, base primaria per far capire che la politica di regionale e la politica di coesione non sono espressioni settoriali, ma temi trasversali che incidono nella vita quotidiana delle persone. Per esempio, la politica di coesione destina ingenti finanziamenti alla green economy, alle fonti di energia rinnovabili, alle piccole e medie imprese, alla ricerca e sviluppo.
Il nuovo format ha determinato una parziale riduzione dei dibattiti destinati alla politica rispetto al passato, anche per il fatto che la manifestazione ha avuto il suo centro logistico a Square e non solo al Comitato delle Regioni. Uno sdoppiamento dei luoghi d’incontro che si è tradotto forse in una minore visibilità dei presidenti e assessori delle regioni italiane, e di sindaci, cui ha contribuito, anche, la fase di passaggio da una legislatura all’altra, da una Commissione europea all’altra. La politica si è posta di conseguenza in una posizione più distaccata, in attesa della stabilità definitiva dei poteri a Bruxelles. Quanto mai comprensibile che i nuovi eletti non vogliano prendersi impegni fino a quando non saranno stati ufficialmente nominati, cosa che avverrà da novembre o dicembre. Di conseguenza è venuta forse meno quella facilità di interconnessione tra i vari momenti che aveva che aveva caratterizzato le stagioni degli Open Days. Comunque la nuova formula è stata apprezzata, anche se l’integrazione tra momento politico e momento “fieristico” potrebbe essere più forte. Ragionevolmente si può concludere che l’edizione 2019 sia stata davvero il primo anno di incubazione di una creatura diversa. Due anni fa si era consumato per alcuni versi una cesura rispetto al passato; oggi si è realizzata è la costruzione di quella che dovrà essere la formula della Settimana delle Regioni.
* Dal 2013 alla Commissione europea presso la Direzione Generale Politiche regionali dove si occupa di comunicare i fondi europei nelle diverse regioni d’Europa. In precedenza ha lavorato al Consiglio Regionale del Piemonte come addetto stampa, in agenzie di comunicazione e in diversi giornali locali piemontesi.
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