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Il veto turco al "come in" per Svezia e Finlandia nella Nato

di Michele Corrado*


Il Nuovo Concetto Strategico della Nato (approvato lo scorso anno), ribadisce la possibilità delle “porte aperte” dell’Alleanza verso nuovi paesi aderenti. Con lo svilupparsi delle operazioni militari in Ucraina i due paesi neutrali del nord Europa (Svezia e Finlandia), hanno ripensato il loro posizionamento strategico/politico facendo formale richiesta di adesione alla Nato. I motivi di tale cambio di politica sono semplici da comprendere, il concretizzarsi di una minaccia potenziale ad est ed a nord (la Federazione Russa) ed i costi, non ritenuti affrontabili, del mantenimento di una organizzazione militare neutrale.


La necessità di notevoli investimenti nella difesa

A parità di situazione geopolitica, i paesi che vogliono essere neutrali hanno bisogno di grandi investimenti nel settore militare ed una industria della difesa disponibile a sostenerla. Israele rimane un esempio perfetto in questo campo, che dimostra come sia possibile sopravvivere e prosperare, anche per un piccolo stato circondato da nemici, se la popolazione è fortemente determinata e le possibilità economico-tecnologiche lo consentono. La Svezia ha alcuni punti in comune con Israele (popolazione, economia avanzata ed industria della difesa propria), ma il successo nel tempo dimostrato dalla Nato ed i costi che si preferiscono non sostenere di un apparato militare autosufficiente per garantire la neutralità, hanno portato ad un ripensamento. La crisi ucraina ha poi creato l’occasione per esplicitare quello che i governanti svedesi avevano in animo già da tempo di realizzare.

Diversa è la situazione per la Finlandia. I finnici hanno due particolarità rispetto ai Paesi limitrofi: un territorio unico dato dalla presenza di innumerevoli laghi (che sono un problema complesso in caso di operazioni militari offensive da parte di un Paese invasore), e la conoscenza diretta dell’attuale minaccia (i finlandesi si sono più volte ritrovati ad ingaggiare i russi militarmente e sempre con risultati positivi). Il punto di forza dei finlandesi è il terreno e le condizioni climatiche che vi insistono, che unito alla capacità di sfruttamento da loro posseduta di tali caratteristiche, realizza un mix assolutamente ostico per qualsiasi invasore. Ovviamente questo ha un costo che la Finlandia può assolutamente contenere aderendo all’Alleanza Atlantica, ritrovandosi, seppur per percorsi differenti, nella stessa situazione della Svezia.

Va inoltre considerato l’approccio espansivo che la Federazione Russa sta svolgendo sull’area artica, dove Svezia e Finlandia si affacciano senza poter autonomamente sperare di imporre una qualsiasi politica attiva. Questa, in sintesi la situazione dei Paesi del nord, situazione latente che ha avuto come catalizzatore il manifestarsi delle mire espansionistiche russe. Curiosamente la Turchia, paese chiave dell’Alleanza Atlantica non pare abbia espresso entusiasmo nei confronti delle richieste di Svezia e Finlandia, dichiarando ultimamente la propria contrarietà. Ma da dove vengono le radici di questa scelta?


Il gioco sottile (ma neppure troppo) degli equilibri geopolitici

Innanzitutto la Turchia deve (per ragioni di posizione del suo territorio) far parte della Nato, ma preferirebbe non essere troppo vincolata viste le aspirazioni che intende manifestare nell’area medio orientale in qualità di potenza militare locale. In secondo luogo, ci sono situazioni irrisolte che storicamente gravano sui rapporti con altri paesi della Nato come la perdurante crisi con la Grecia. E non solo: la questione curda che non accenna a risolversi, i rapporti con la Russia sono altalenanti e perdura la voglia di protagonismo in Libia.

La Turchia potrebbe vedere l’ingresso di Svezia e Finlandia come uno spostamento degli equilibri e degli interessi della Nato sul fronte nord che verrebbe di fatto a compattarsi, a discapito degli avvenimenti del mediterraneo orientale dove la partita siriana è tutto fuor che conclusa. Considerando poi la presenza e delle truppe turche in Libia (non dimentichiamo che la Libia fu sottratta all’Impero Turco un centinaio di anni fa dal Regno d’Italia), si comprende che il formarsi di un blocco compatto nord occidentale della Nato (al momento), potrebbe non essere considerato opportuno.

La Turchia è l’unico Paese aderente alla Nato (ad eccezione delle potenze nucleari USA, Francia, Gran Bretagna), a condurre operazioni militari al di fuori dei propri confini in proprio e per propri interessi. Tale situazione, che non consente una lettura chiara delle aspirazioni turche all’interno del Mediterraneo (area di intervento Nato di primaria importanza, ribadito anche all’interno del Concetto Strategico dell’Alleanza 2022), pare più un tentativo di attrarre attenzione che un passo all’interno di una direzione strategica organizzata in funzione di un obiettivo a lungo termine. Le Forze Armate Turche sono alquanto numerose e puntano sulla quantità, almeno per gli standard dei Paesi Nato e sono assistite da una industria della Difesa che cerca di essere tecnologicamente avanzata al fine poter esprimere potenzialità sul terreno che non siano solo numeriche.

Riassumendo, sembrerebbe che la Turchia si trovi in una situazione, nei confronti della Nato, dove comprende che non può fare a meno di farne parte, gli conviene, ma non vorrebbe.


* Col. in Ausiliaria Esercito Italiano


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