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Giancarlo Rapetti

Giustizia: separazione delle carriere e "separazione" dall'esperienza

Aggiornamento: 2 nov 2023

di Giancarlo Rapetti*

Si parla molto di crisi della Giustizia e di riforme necessarie. A ragione, perché il sistema giudiziario, al di là dei problemi oggettivi, è percepito come screditato, poco produttivo, appariscente e inefficace al tempo stesso.

Nella frenesia della politica usa e getta, tipica dei nostri tempi, si tende a saltare la fase dell’analisi e della diagnosi e ci si lancia in proposte di “riforme” (parola che piace tantissimo), come se cambiare l’etichetta su di una bottiglia ne potesse cambiare il contenuto.

In particolare va molto di moda l’ipotesi di separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante: sono in molti a sostenerla, con argomentazioni qualificate e articolate, anche perché, fin che si resta ai titoli, ognuno può interpretare la formula a modo suo.

L’argomento merita un approfondimento, con le specifiche competenze necessarie, e non è questa la sede. Una piccola osservazione vorrei comunque fare: portare alle estreme conseguenze la separazione delle carriere significa escludere la pubblica accusa dall’ambito dell’ordine giudiziario, facendone un organo dell’amministrazione dello stato, cioè del potere esecutivo. Può essere che ciò sia una buona cosa, ma porterebbe con sé due effetti rilevanti.

Il primo è la fine dell’obbligo dell’azione penale. Il secondo attiene al ruolo processuale del Pubblico Ministero. Attualmente la Procura della Repubblica deve, o dovrebbe, agire nell’interesse della verità, cioè svolgere le indagini in modo terzo, cercando e valutando le prove anche a favore dell’imputato. Il pubblico ministero funzionario dell’esecutivo perderebbe questa caratteristica e dovrebbe lavorare solo nell’interesse dell’accusa. Questo cambierebbe anche il ruolo dell’avvocato difensore, che attualmente ha l’onere di controllare la congruità delle conclusioni del Pubblico Ministero, la regolarità del procedimento e l’intrinseca coerenza del giudizio.

Nel nuovo schema, il difensore dovrebbe anche cercare le prove a favore dell’imputato, cioè svolgere vere e proprie indagini parallele, una sorta di privatizzazione della giustizia (come avvenuto in altri settori, in primis l’edilizia). Non mi azzardo ad esprimere giudizi sulla questione, ma credo che, quando si parla di “separazione delle carriere”, siano queste le cose da valutare. Come in altri settori, esiste per la Giustizia il problema fondamentale dell’efficienza del sistema, argomento di cui parla spesso il ministro Carlo Nordio.

Un altro aspetto invece raramente viene sollevato. E mi riferisco in particolare alla magistratura giudicante, se non altro perché il PM propone (e fa le conferenze stampa) ma il giudice dispone. E qui vorrei fare un esempio: è uscito il bando per l’assunzione di nuovi magistrati, la lettura del quale mi ha fatto ricordare un film del 1979, Kramer contro Kramer, con Dustin Hoffman e Meryl Streep. Il padre spiega al figlio come funziona la causa per l’affidamento in corso tra i genitori, dicendo più o meno così: “papà e mamma sono in disaccordo su di un argomento importante; allora vanno da un signore molto saggio il quale, esaminati i fatti e sentite le ragioni, deciderà qual è la soluzione migliore”. Niente male come spiegazione: il giudice decide, e, perché investito di questo straordinario potere, deve essere molto saggio.

Qual è la connessione tra film e bando? Per accertare che il candidato a diventare giudice sia molto saggio si richiede la laurea in Giurisprudenza e il superamento di un esame di pura teoria sulle materie giuridiche. In altre parole, un neolaureato senza esperienza potrà giudicare su materie della vita reale che non conosce e svolgere la funzione più complessa e importante che esista nella nostra società.

Mi chiedo: quale azienda affiderebbe la responsabilità dell’Ispettorato interno ad un neolaureato senza esperienza?

E abbiamo visto la politica: saltata la selezione interna attraverso i partiti strutturati, sono diventati parlamentari e ministri personaggi senza curriculum e senza cursus honorum, con esiti disastrosi per la politica, il governo e il Paese. Nel caso della politica, tuttavia, la scelta è direttamente del popolo sovrano, non si possono imporre troppe regole (una ci vorrebbe, però, applicare l’art. 39 della Costituzione).

Quando si tratta di funzioni pubbliche assegnate per concorso, le regole ci vogliono, e come. Si tende a rimuovere il fatto che la qualità di un sistema dipende soprattutto dalla qualità delle persone che ne fanno parte. E se molte aziende o molte funzioni pubbliche possono permettersi di avere una qualità del personale distribuita secondo la curva di Gauss, la magistratura no: perché ogni giudice dispone della vita e della libertà delle persone, e quindi ogni giudice deve essere “molto saggio”.

Non ci sono modi sicuri e oggettivi per garantire questo risultato, ma si può cercare di introdurre qualche elemento che aiuti nella direzione necessaria. Mi limito a richiamarne uno, il requisito dell’esperienza. Non della semplice conoscenza approfondita del diritto (che of course rimane imprescindibile), ma dell’esperienza sulle cose da giudicare. Tanto per rendere l’idea, non sarebbe male se per concorrere alla posizione di magistrato occorresse aver versato almeno dieci anni di contributi in un qualunque settore lavorativo. L’esperienza poi si forma anche con il tempo: un limite di età minimo di quaranta anni potrebbe essere una soglia utile. Non a caso, era l’età che i padri costituenti avevano statuito per essere Senatore della Repubblica, prima che la norma fosse cancellata da una ventata giovanilistica.

Essere giovani o vecchi non è uno status permanente, ma un percorso della vita di tutti. Tutti siamo stati giovani e convinti di sapere tutto. Crescendo si scopre che non era vero, e che c’è sempre da imparare. Molte cose riescono meglio da giovani, quelle in cui l’energia è più importante della conoscenza e della saggezza. Altre, e il giudicare è la prima di queste, riescono meglio con più esperienza, anche se con meno energia.

Aggiungo che se si arrivasse alla separazione delle carriere, nel senso prima detto, il discorso assumerebbe ancor più rilevanza. Oggi infatti i nuovi assunti sono inseriti di preferenza in una Procura della Repubblica, uffici strutturati con una gerarchia, in cui il nuovo entrato può essere indirizzato e controllato. Nel giudicante non sarebbe così: il giudice, giustamente, non è vincolato a gerarchie, e decide con libero convincimento; le sue capacità cognitive, il suo equilibrio, la sua capacità di non lasciarsi influenzare dai propri pregiudizi (tutti noi ne abbiamo) fanno la differenza.


* Componente dell’Assemblea Nazionale di Azione

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