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Un esegeta dei nostri tempi, Zelensky

Aggiornamento: 7 apr 2023

di Vice


"È stato fatto tutto il possibile per fermare la guerra? E' il grido di dolore che Papa Francesco ha levato oggi nell'aula Paolo VI all'udienza generale di questo Mercoledì delle Ceneri. Sono parole che ridanno speranza alla pace e che contengono la forza propulsiva di trasformare in inquietante interrogativo, come ha scritto l'Osservatore Romano, le coscienze di quanti hanno responsabilità internazionali all'approssimarsi del "triste anniversario" del 24 febbraio, data dall'inizio dell'invasione Russia dell'Ucraina. Parole pronunciate con uno spirito opposto a quelle del nuovo esegeta dell'umanità, il presidente dell'Ucraina Zelensky, che in nome della libertà - neppure stesse confrontandosi con marziani e non con Paesi che hanno avuto tra i padri fondatori dell'Europa unita, figure da De Gasperi, Spinelli, Schuman, Spaak, Monet ad Adenauer - si arroga il diritto di interpretare riflessioni, commenti, opinioni contrarie alle sue. E non solo. Oggi accusa, giudica, ironizza, impone, rigetta il galateo diplomatico e crea imbarazzo ad una presidente del consiglio di un paese straniero e amico in visita a Kiev, il cui Parlamento ha votato l'invio di armi al suo Paese e lo continua a sostenere politicamente anche nel cambio di più governi di diverso orientamento.

A chi gli chiede l'opinione sulle riserve espresse dagli italiani a continui rifornimenti di materiale bellico, replica che sono comprensibili, che esiste il timore di un allargamento del conflitto, ma non chiude il ragionamento, che rimane sincopato, sospeso, come se fosse doveroso anche per l'Italia condividere i guasti di una guerra apocalittica, dopo che si è vissuti in pace per 78 anni. Un tempo mai conosciuto dal nostro Paese e dall'Europa. E sull'esternazione critica di un leader della maggioranza che sostiene il governo italiano, gli risponde a distanza che non sa che cos'è la guerra, dimenticando la carta d'identità del suo interlocutore, che è anche la stessa di milioni di italiani la cui memoria ritorna costantemente alle corse a perdifiato per sfuggire nei ricoveri ai bombardamenti delle Fortezza volanti degli "alleati", dei Liberatori, duri e intransigenti fino al 25 aprile.

Zelensky oramai, oltre al bancomat per le armi, concesso a un paese né membro dell'Unione Europea, né della Nato e quindi per una guerra per procura, sembra avere in dotazione la carta per il prelievo ad libitum del lessico da cui può estrarre qualunque frase, indifferente all'eco che può suscitare nelle coscienze e nei cuori dei cittadini europei a loro volta trascinati non soltanto in una guerra per procura il cui fine è quello di devitalizzare la Russia e rivitalizzare la Nato, ufficialmente in nome dei valori occidentali che notoriamente mascherano la ricerca di nuovi equilibri geopolitici. Anche se il piano, che si fonda sulla certezza del crollo russo, rischia di diventare un boomerang soprattutto per l'Occidente europeo le cui riserve economiche, militari e di contenimento sociale sono sì notevoli, ma non illimitate.

Uno degli spot di Zelensky rimane quello della vittoria unito all'intenzione di trascinare il presidente della Federazione Russa davanti al Tribunale internazionale dell'Aja. La seconda opzione non può escludere la prima, ma si tratta di comprendere come la Russia perderà sul terreno militare e se il Cremlino, defenestrato l'attuale leader, sarà disponibile a farlo processare all'estero (il vice presidente del Tribunale è un russo). Nell'uno e nell'altro, sono soluzioni che gli stessi analisti militari Usa non ritengono realizzabili a breve termine. Morale: il risultato più probante è sempre quello di gettare benzina sul fuoco e favorire la coesione interna della Russia, storicamente sensibile all'idea della guerra patriottica in ogni sua epoca e sotto poteri diversi, e la sospensione del Trattato Start. Insieme con l'avvicinamento con Pechino, definito oggi al termine dell'incontro con il ministro degli Esteri cinese.

Del resto, la copertura a Zelensky arriva direttamente dal Segretario generale della Nato sereno nel proclamare che lo scontro con la Russia richiede sacrifici. Di che genere, non è stato esplicitato. La comunicazione a spot non investe nella condivisione di spiegazioni, ma ricorda molto da vicino una famosa pubblicità di Carosello degli Anni Sessanta: "basta la parola". Magari, per finire tutti negli abissi di una ecatombe nucleare.

Agire allora sul pedale della diplomazia cercando spiragli di pace sarebbe umiliante per gli Usa? In questi ultimi mesi, è stata sdoganata l'espressione "servi" rivolta ai paesi europei rispetto alla Casa Bianca e, se vogliamo, per le spinte in avanti cui l'amministrazione Biden non sa sottrarsi nelle relazioni dirette con altri gruppi di stati dell'Europa, di cui Bruxelles non sente la benché minima necessità. Insomma, non sono buoni segnali.

L'Europa ha bisogno dell'America, che rimane il faro delle democrazia. Ma anche l'America ha bisogno di un'Europa salda, autorevole, unita, coesa, non subalterna. E soprattutto capace di fare da contrappeso in politica internazionale.


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