top of page

Francesco De Bartolomeis, un intellettuale torinese poliedrico


di Mariella Fassino


Si è aperta il 3 maggio e andrà avanti fino al 30 giugno prossimo la mostra Girare intorno all’arte che l’Accademia Albertina ospita nelle sue sale per raccontare un aspetto inedito della multiforme personalità di Francesco De Bartolomeis, conosciuto principalmente come Professore ordinario e emerito Dell’Università degli Studi di Torino e innovatore in ambito pedagogico. De Bartolomeis ha attraversato il Novecento e un bel pezzo del XXI secolo, dall'alto di un'esistenza durata 105 anni, partecipando al dibattito e all’innovazione culturale a partire dalla scuola primaria, media, superiore con riflessioni sull’apprendimento, la creatività, l’educazione, la formazione per questo è ricordato come un eminente pedagogista che con l’insegnamento universitario alla Facoltà di Magistero di Torino e numerosi libri ha formato generazioni di insegnanti. Nato a Pellezzano in provincia di Salerno nel 1918, scomparso a Torino nel 2023, ha avuto le sue "armi" migliori nella curiosità e vivacità intellettuale che gli hanno permesso di incontrare e intrecciare relazioni umane con uomini e donne. Uno stile che ha plasmato l’identità culturale del nostro paese a partire da Benedetto Croce. E' proprio il filosofo ad incoraggiarlo a pubblicare il suo primo saggio: Idealismo ed Esistenzialismo all’età di 26 anni. Dalla Firenze degli studi universitari approda a Torino attratto dal dinamismo di una città industriale che promette sperimentazione, innovazione, dove le nuove generazioni, i figli di un’Italia che attraverso l’immigrazione sta rimescolando le carte della tradizione e del conformismo, possano trovare nella scuola un luogo di riscatto e di incontro con esperienze, persone, luoghi, situazioni.

Sua è l’invenzione dei laboratori didattici, dell’anti-pedagogia, del tempo pieno che venne introdotto a Torino a partire dalle riflessioni portate in Consiglio Comunale insieme a Fiorenzo Alfieri nel periodo fecondo dell’amministrazione del sindaco Diego Novelli. Il tempo lungo di cui ha bisogno una mente in formazione per conoscere e interagire con il mondo in un clima affettuoso fatto di relazioni, scoperte, incontro con i problemi e le loro soluzioni. Fu dalla collaborazione con Adriano Olivetti che negli anni ’50 gli affidò la responsabilità della formazione in azienda, del personale delle colonie e delle scuole dell’infanzia, che De Bartolomeis incise profondamente nel dibattito pedagogico del "secolo breve" indicando nell’istruzione il terreno fecondo dove le nuove generazioni potevano trovare il grande laboratorio di esperienze ancorate al lavoro e alla società. L’interesse per i laboratori, per il fare, per la creatività lo portarono a frequentare sempre più assiduamente il mondo dell’arte figurativa e a stringere legami con numerosi protagonisti di quest’arte, primo fra tutti Lucio Fontana di cui fu amico, ammiratore, interlocutore.

Per De Bartolomeis l’arte figurativa era mezzo espressivo fatto di materiali, problemi, soluzioni, era ricerca, creatività, rigore, era approdare alla forma a partire da ciò che non esiste, da”trame di idee inizialmente confuse e oscure” che nell’intrecciarsi propongono ostacoli, incertezze, accelerazioni, pentimenti, esercizio logico e percettivo. L’arte astratta come ricerca espressiva l’ha portato ad essere uno studioso e collezionista a conoscere il lavoro dei grandi maestri del Novecento.

Entrare nella sua casa, tappezzata di opere di pittori e scultori fino al soffitto, accostate con apparente noncuranza tra figurazioni astratte e antiche minacciate dalla polvere e dalle ragnatele era infilarsi in una vertigine di bellezza che ti toglieva il fiato, ti faceva inseguire linee, colori, accostamenti, ritmi, armonie, dissonanze. La curiosità ti spingeva a chiedere spiegazioni, informazioni, racconti a cui seguivano piccole lezioni di arte che non esaurivano il piacere di rinnovare l’incontro con una esperienza culturale e umana vitale e appassionata. Tra queste opere talora ne spuntava qualcuna che cambiava di volta in volta nel corso delle visite, piccole composizioni che attiravano l’occhio per la gioiosità dei colori, gli accostamenti, le forme.

Erano il suo contributo alla comprensione delle difficoltà formali a cui va incontro un’artista nel corso del suo lavoro, Francesco dipingeva per capire e non per produrre, era diventato pittore per essere più vicino ai tanti artisti che aveva frequentato nel panorama culturale italiano e torinese, da Soffiantino a Surbone, da Nativi a Scroppo, da Preverino a Vinicio Berti.


Nella mostra allestita all’Accademia di Belle Arti e curata da Tea Tarantino e Irene Pittatore, organizzata da Rita Margaria e Pino Chiezzi si trovano riunite molte delle sue opere pittoriche che accostate all’uomo, ai suoi interessi, alla sua produzione culturale restituiscono al visitatore la poliedricità di una mente curiosa e aperta alla scoperta. A questo contribuiscono le interviste a Piero Bianucci, Mario Calabresi, Claudio Strinati, Maurizio Maggiani, Anna Pironti che dai video dell’allestimento ricordano l’amicizia e l’incontro, gli accesi dibattiti, gli scontri, le idee, l’affetto che ha legato l’uomo a intellettuali, uomini di cultura ma anche alle tante persone che hanno avuto il piacere e la fortuna di incontrarlo. La mostra restituisce ai visitatori un ultimo aspetto della sua vitalità, la passione per lo sport e in particolare per il nuoto che ha continuato a praticare fino alla veneranda età di 103 anni. In un video proiettato sul pavimento dell’esposizione la traversata a nuoto del golfo di Riccione ci mostra le sue vigorose bracciate di ottuagenario nello scintillio della luce riflessa sulle onde, un’immagine che confonde il nuotatore, come in un quadro astratto, con le forme e i colori che lo inglobano ricordandoci che la vecchiaia non è solo una questione di genetica ma anche di volontà e passione. 

 




82 visualizzazioni0 commenti
bottom of page