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Torino, 100a giornata del "no" alla guerra per una cultura di pace


Domani, 27 gennaio, Giorno della Memoria che ricorda la Shoah e i milioni di ebrei e dissidenti politici uccisi nei campi di concentramento nazisti, coincide con la 100 presenza di Pace che l'associazione AGiTe porta in piazza, questa volta piazza Castello e non l'abituale piazza Carignano) per contrastare la deriva di guerra in cui è precipitata l'umanità. E' la "Terza mondiale a pezzi" nella calzante e desolante definizione data da Papa Francesco in solitudine e quasi nell'indifferenza generale, quasi che i morti dovranno riguardare sempre "altri pezzi del mondo" e non avranno mai ricadute sulla nostra società, sulla nostra convivenza civile, sulle nostre risorse. Anzi. C'è chi auspica la militarizzazione della società, agitando lo spauracchio di una prossima, se non imminente invasione dei "tartari" come l'ammiraglio Rob Bauer, presidente del Comitato militare della Nato, che la settimana scorsa è stato esplicito nell'affermare che "per poter essere pienamente efficaci anche in futuro, abbiamo bisogno di una trasformazione bellica della Nato”. Una trasformazione, ha aggiunto Bauer alla platea dei capi di Stato Maggiore a Bruxelles, in quella che è sembrata una "promozione" della Nato (ritrovata), che dovrà avere come puntello la cooperazione pubblico-privata. Cooperazione finalizzata - sempre secondo la "Dottrina Bauer", davvero imbarazzante nel leggere le cronache - ad aumentare la prontezza della difesa con più esercitazioni, partnership industriali e truppe in massima allerta, perché oggi si ha "bisogno che gli attori pubblici e privati cambino la loro mentalità, passando da un’era in cui tutto era pianificabile, prevedibile, controllabile, focalizzato sull’efficienza a un’era in cui tutto può accadere in qualsiasi momento. Un’era in cui dobbiamo aspettarci l’inaspettato”. L'inaspettato è la Russia di Putin che impone dunque, dopo l'invasione dell'Ucraina, un aumento drastico delle spese militari e nuovi contratti con i produttori di armi.

All'opposto, non una parola è stata spesa per pari aumento drastico dell'impegno diplomatico e politico degli Stati e della Comunità Europea in nome dei suoi cittadini per "raffreddare" le tensioni e ridurre l'indottrinamento alla guerra nei campi contrapposti. Evidentemente c'è chi reclama una sempre maggiore quota di sangue, di distruzione e di riduzione delle libertà parlamentari, inalberando valori di carta, finti e falsi nel rispetto della democrazia autentica, mentre si cerchia il nemico, oggi la Russia, domani la Cina e a seguire chiunque si presti a giustificare l'insensatezza delle spese militari. Spese militari che si traducono in profitti incalcolabili con cui si può manipolare le coscienze e "comprare" i soliti pifferai dell'informazione a senso unico, che pontificano sulla necessità di "armarsi e partire" verso il precipizio. Il tutto a danno della società civile che, invece, reclama modelli e progetti di sviluppo fondati sulla pace e sull'ambiente, lavoro, solidarietà, sussidiarietà.

Con queste premesse, la Giornata della Memoria rischia di diventare uno sterile ricordo incorniciato dalla commozione di massa, ma decontestualizzato da quegli anni Trenta del Novecento in preda alle convulsioni aggressive del fascismo in Europa, radici di una propaganda velenosa anche in altri Continenti; un fascismo sfociato il 1° settembre del 1939 nell'inizio di una insensata quanto immonda guerra promossa dal peggiore totalitarismo criminale e aggressivo che la storia ricordi, cui si accodò l'Italia il 10 giugno del 1940.

Ora, il nostro Paese e l'Europa, in pace dall'8 maggio del 1945, dalla sconfitta del nazismo, devono avere il coraggio di contrastare la guerra e pressare su chi al vertice dei governi appare intorbidito nella mente e avere perso la capacità e il raziocinio di arginare lo schizofrenia gladiatoria e bloccare l'invasività distruttiva che è a capo della guerra.

Gli esseri umani dei teatri di guerra di Ucraina, del Vicino oriente, dalla Palestina alla Siria, del Corno d'Africa e di regioni asiatiche reclamano una tregua. E questa non può che essere favorita, a costo di apparire ingenui e inguaribili utopisti, che dalla mobilitazione dal basso, quella dei cittadini che invadono pacificamente le strade per rifiutare la logica dello scontro militare come unica soluzione delle controversie internazionali.


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