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"Gaula, Gaula, che io sono Amadigi" negli anni di Giorgia

di Mauro Nebiolo Vietti


E’ il grido di battaglia di un guerriero di cui si narrano le gesta nella letteratura cavalleresca del XIV secolo che incarna i concetti di coraggio, forza e generosità il cui grido di battaglia “gaula, gaula che io sono Amadigi” chiama a raccolta i popoli contro i nemici e le cui imprese impressionarono un dodicenne (il sottoscritto) che sarebbe stato pronto, se chiamato, a condividerne la missione.

Amadigi rappresenta non solo un capo, ma un capo illuminato che sa di cosa ha bisogno il popolo, che non ha paura a difenderlo dagli stranieri che si ammassano oltre confine, che sa  parlare con gli umili per capire i loro bisogni ed a cui distribuisce  ricchezze.

E’ l’immagine del bene che sconfigge il male e protegge le masse che gli si affidano fiduciose quando scatta il richiamo di battaglia gaula, gaula che io sono Amadigi.I

E’ normale che un dodicenne ne sia affascinato? Ovviamente si, saranno poi le vicende successive della vita a rendere più analitiche le sue scelte, ma ciò non toglie che oggi qualcuno possa replicare l’Amadigi non dei dodicenni, ma degli adulti, e cioè di quella parte della popolazione che aspira ad identificarsi con chi ha saputo apparire come espressione di forza, generosità e sicurezza e non c’è nulla di meglio, per esprimere ed elettrizzare le folle, che un grido di guerra. Se quello di Amadigi oggi può apparire anacronistico, “IO SONO GIORGIA” può suscitare nuove emozioni.

Ci si può consolare sostenendo che il messaggio è puerile, che può coinvolgere solo persone semplici, che il destino di un paese non può essere affidato ad uno slogan (che in questo caso è una chiamata alle armi), ma è una consolazione sterile perché nel frattempo Giorgia Meloni vince le elezioni e le vince non con un impianto ideologico, non con un partito che invece si lascia alle spalle, ma con un rapporto diretto con il popolo che risponde al grido di guerra.

Si tratta di una metamorfosi per ora nella fase iniziale che vede un leader muovere i primi passi nella direzione di un rapporto diretto ove al popolo è offerta una visione personale di giustizia sociale e poco importa se la realtà è divergente e costringe a scelte operative di segno diverso, perché ora che l’attenzione della platea è stata spostata su di sé è facile convincerla che la lotta è dura, ma che alla fine si trionferà anche se nel frattempo si dovrà fare qualche sacrificio.

Si tratta di una mera teoria? Può darsi, ma la verifica la faremo il 9 giugno quando si conteranno le preferenze.

 

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