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Scuola: “I CARE” non uno slogan, ma una possibilità. La lezione di don Milani

di Stefano Capello*

Spesso, troppo spesso si sente parlare di scuola attraverso gli slogan, ultimo quello del ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che ripetono: “bisogna rifondare la scuola”. Di questa impellenza, nessuno dubita, ma pochi fanno seguire a tale affermazione alcune semplici domande del tipo: come e su quali fondamenta occorre ri-fondare la scuola?


Il ruolo degli educatori cattolici

Dovremmo poter pensare ad andare oltre gli slogan e pensare a quali possibilità per prendersi a cuore la scuola, per dirla con don Milani: “I care”. Per rifondare la scuola servono operai come don Milani. Lui come premio ed encomio degli sforzi di una vita, ha visto grottescamente unite nell’osteggiare i suoi progetti sia l’autorità civile che quella religiosa. Come si trattasse di un pericolo, di un potenziale ed imprevedibile nemico dell’ordine pubblico, e non una risorsa nuova e da sfruttare per pensare un miglioramento della società attraverso la scuola! Quando è un educatore cattolico a lasciare un segno indelebile e profondo, a fondare una scuola nel ventre di una società che si dimostra, ad ogni buon conto, incapace di vedere le reali necessità delle persone, c’è un motivo di speranza in più per chi si professa onesto cittadino e crede in una scuola capace di formare le coscienze.

La sua scuola non è una scuola diversa o il pallino di un prete anticonformista. È molto di più: è l’unica scuola possibile, in quel tempo e in quel luogo. Ogni altra scuola sarebbe stata inutile ed infruttuosa; uno spreco di tempo vanesio e vanaglorioso, uno slogan elettorale. Se val la pena fare una cosa, val la pena farla bene, nel rispetto delle effettive esigenze della collettività. E qui s’incardina il proposito di don Milani, vale a dire l’aderenza alla realtà. Forse ispirandosi a qualche altro grande educatore e suo precursore, come De La Salle e don Bosco, ebbe chiara in mente l’idea che non era possibile fare dei buoni cristiani che non fossero prima dei buoni cittadini.


Leggere la realtà per comprendere i bisogni

Rifondare la scuola significherebbe allora dirsi su che cosa porre le fondamenta, vuol dire leggere la realtà, comprendere i bisogni e porre appunto le fondamenta come risposta ad essi. Leggendo il suo tempo, per esempio, don Lorenzo si rende conto che la quasi totalità degli anziani, ma anche la maggior parte dei giovani che non sono andati oltre le scuole elementari, fatica a comprendere un articolo di giornale, anche qualora esso abbia magari per argomento qualcosa di non particolarmente impegnativo. La mancanza di vocaboli e di padronanza della lingua italiana rende praticamente inservibile la lettura di un quotidiano: proprio ciò che dovrebbe essere strumento di emancipazione, di democrazia e di libertà, si dimostra (nella realtà) solo ipocritamente illusorio. Sembrano problematiche antiche, legate a mentalità e storie contadine, ad un passato non così remoto ma ormai superato. Invece non è del tutto così. Da un lato, i nuovi ignoranti sono spesso gli immigrati e quei giovani ubriacati ed intontiti dai social, oppure privi di una coscienza critica. Dall’altro, si va diffondendo purtroppo un malcostume di superficialità che fa sì che le notizie siano diventate un passaparola: le fonti originarie si perdono nella notte dei tempi, col rischio di fare una nuova versione del telefono senza fili, nel quale non si sa mai che peso dare a notizie ricevute da altri e riportate in successione da un giornale da un notiziario o da un influencer all’altro. Questi fattori alimentano una confusione che ha come unico risultato il permanere dell’ignoranza e dell’incapacità di reagire di fronte a molti soprusi che continuano ad avvenire ai danni delle persone meno capaci di difendersi, perché meno forti economicamente, politicamente o culturalmente.


Lettera a una professoressa

La scuola di don Milani inoltre è una scuola curata negli ambienti e nei particolari, seppur nella povertà di mezzi don Lorenzo ha dato importanza all’edilizia scolastica, perché gli ambienti sono importanti e danno dignità ed appartenenza. Sulla scorta di queste osservazioni, nascerà la Lettera a una professoressa, nella quale sconvolgerà gli antichi criteri del sistema scolastico, che si rivelava stantio e discriminante in base a criteri socio-economici, in base ai quali chi partiva svantaggiato non era messo in grado di recuperare il gap iniziale in alcun modo, ma restava sempre, inevitabilmente “indietro”. “Non vi è nulla di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali”: c’è una ricerca di uguaglianza che finisce con il dimostrarsi sterile, e forse pure ipocrita, se non è accompagnata dalla volontà di creare equità. Non siamo tutti uguali. Non lo siamo mai stati e non lo saremo mai.

Non risiede però qui il problema. Creare una società di uguali non farebbe che creare un appiattimento, una stesura monocolore su una tela che potrebbe invece, con maggior lustro per tutti, essere variopinta. Il vero obiettivo dovrebbe essere non di creare tanti soggetti uguali, ma favorire la fuoriuscita della ricchezza che la nostra diversità garantisce. Ognuno ha dei doni, ciascuno ha il proprio da condividere con l’umanità.

Tutto questo perché? “I CARE” Aveva fatto scrivere in grande don Milani. “I care tutto”. Mi importa tutto. Ciò che importa è quello che sta a cuore, fino a togliere il sonno. Fossero anche quelle poche anime di un paese sperduto della Toscana, come fu per don Milani.

Don Milani ci indica la via: leggere la realtà, trovare i valori da trasmettere e su questi valori costruire le fondamenta di un bell’edificio curato sicuro ed adeguato che si chiama scuola. In questa scuola poi ci prendiamo cura di tutti nella loro diversità ed unicità.

Allora si che avremmo fatto del bene alla scuola e potremmo prendercene il “merito”.

*Delegato arcivescovile della Diocesi di Torino per l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC).

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