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Osservando i nostri tempi

Il senso dell'apprendimento al dissenso per la Generazione Z


di Domenico Cravero


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I preadolescenti vedono in chi è di grande anno più grande il loro primo modello. Non vivono ancora le tensioni degli adolescenti ma tendono a rispecchiarsi in ciò che essi pensano e fanno. La generazione Z si misura tutti i giorni con l’incertezza del presente e la sensazione di perdita del futuro. Vivere nella precarietà rende difficile immaginare un progetto di vita e motivarsi all’impegno. Si aggiungono poi nuove forme di diseguaglianza tra chi è in grado di utilizzare le opportunità tecnologiche e chi non lo è. Nella rassegnazione, la riuscita diventa un colpo di fortuna, questione delle conoscenze giuste, frutto di tenacia nel farsi avanti, più che di capacità e competenza. L'assillo di essere accettati nel gruppo (per uscire insieme il sabato sera, ad esempio), l’ansia per la prestazione scolastica, sportiva, sociale da rendere (dove è molto importante il giudizio che l’adolescente si aspetta dai genitori), l’attesa di vedere confermati i propri risultati, sono preoccupazioni costanti delle nuove generazioni. Se però alle attese e alle promesse non consegue nulla di reale, se non avviene nulla di grandioso, la delusione può essere bruciante: può esplodere in violenza o accrescere la probabilità delle nevrosi. Le sicurezze vanno in frantumi, il mondo personale può “andare a pezzi” (la sindrome è chiamata breakdown evolutivo). Si alimenta in questo modo un paradosso che immobilizza: da una parte si vive la condizione scoraggiante e depressiva di vivere come se non ci fosse futuro, dall’altra si vuole dare il massimo, si insegue una carriera strepitosa, ci si impegna a prendere bei voti, a raggiungere traguardi.

Si può affrontare questo paradosso attraverso l’azione. Esiste un automatismo che la psicologia sperimentale ha individuato e descritto da tempo (la dissonanza cognitiva) secondo il quale la mente umana non sopporta a lungo la contraddizione tra ciò che pensa e ciò che fa. Una persona, per esempio, può notare la discordanza tra la mancanza di speranza e la lotta competitiva. Se in seguito non è disposta a ritrovare l’effettiva coerenza, cioè a dare senso, a imprimere un obiettivo, una destinazione alla fatica dell’impegno, finisce per rassegnarsi e giustificare ciò che fa. Mantiene la competizione e perde il senso. Si può rovesciare il processo in positivo.

Si può incominciare ad “avere testa” (sapere cosa si vuole, non rinunciare a ciò che si ritiene giusto) e si finirà anche con il “vivere bene” (mobilitarsi per ciò che è degno di essere vissuto). È una strategia efficace per contrastare la “passione triste” del presente senza futuro. L’urgenza della situazione contemporanea chiama ad attivarsi nell’azione collettiva e non solo individuale, dissentendo da ciò che si considera ingiusto. La prima forma del dissenso nell’attuale condizione di paradosso è “soffrirlo”: non negarlo, non fuggire la dissonanza, non accettare di estraniarsi. Il dissenso conduce poi all’azione, a occuparsi seriamente del futuro per farlo “avvenire” e non solo lasciare che accada.

Solo chi compie il percorso della mobilitazione trova effettivamente il suo posto nel mondo; solo quando la dissonanza è riconosciuta, il futuro può partire.

Tanti fatti degli scenari internazionali o della vita locale possono interrogare la coscienza. Ci si può voltare dall’altra parte e preferire il silenzio e la defezione oppure si può dare voce al proprio dissenso.

L’educazione al dissenso, cioè a dire consapevolmente e pubblicamente di no, è una scelta fondamentale dell’educazione civica, che ha lo scopo di preparare le persone a partecipare in modo consapevole e attivo alla vita della comunità, che è sempre complessa e contraddittoria. Se poi alla democrazia si vuole aggiungere la scelta della non violenza, le forme del dissenso individuale si moltiplicano (il vegetarianesimo, il digiuno, la persuasione, il dialogo, il superamento del risentimento e della vendetta, la preghiera, la testimonianza, l’esempio, l’obiezione di coscienza, la non collaborazione) e quelle collettive diventano di difficile gestione (lo sciopero, il boicottaggio, le marce, la disobbedienza civile). Si sta infatti evidenziando, con l’aumento delle proteste sociali, ambientali e politiche, un contrasto crescente tra la libertà di esprimere il dissenso e le misure legislative di sicurezza adottate dalle autorità.

Un dissenso efficace e costruttivo ha bisogno tuttavia di regole e non solo di passione: comunicare le proprie ragioni in modo chiaro, coerente e assertivo, rispettare i punti di vista altrui, non attaccare. Il dissenso non ferisce mai l'altro: si dovrebbe dissentire su un comportamento, su un argomento ma non negare l’altro. Bisognerebbe quindi evitare di giudicare l’altro e affermare sempre cose che si conoscono e si sono comprese, invece del sentito dire.

Quando il dissenso coinvolge adolescenti, l’attenzione alla correttezza etica è ancora più importante. L’azione non dovrebbe essere solo di protesta ma anche trasmettere valore educativi comprensibili. Esprimersi in maniera chiara significa esprimere in modo chiaro ed equilibrato le proprie emozioni e opinioni. Essere equilibrati significa reclamare i propri diritti riconoscendo quelli degli altri. Vivere civilmente il dissenso non significa evitare i conflitti, che sono parte della vita sociale, ma viverli in modo non violento, come crescita umana che cerca in ogni caso un’intesa: per andare d’accordo con te non è necessario che io pensi esattamente come te.

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