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La Resistenza cattolica dei “ribelli per amore”

Aggiornamento: 21 apr 2023

di Luca Rolandi

La Resistenza cattolica e cristiana contro il nazifascismo ma anche la lotta contro tutti i totalitarismi rappresentano un esempio di testimonianza e passione per la vita, la libertà e la democrazia, fino al punto estremo del martirio, che ha coinvolto centinaia di religiosi, presbiteri e laici in Italia e in Europa. Il 25 Aprile, dunque, assume anche questa importanza: ricordare storie di donne e uomini, alcuni riconosciuti dalla Chiesa beati, che hanno sacrificato la loro vita per costruire un mondo libero e democratico. Nel dopoguerra, nel cattolicesimo italiano si definirono modi diversi di ricordare ciò che era accaduto sotto il regime fascista e durante la Resistenza. L’obiettivo non era soltanto mettere in ombra gli aspetti più problematici della convivenza della Chiesa con il regime di Mussolini e sottolineare la partecipazione cattolica alla guerra di Liberazione, ma inserirsi attivamente nel confronto politico dell’Italia sulla via della democrazia. Per lungo tempo la partecipazione dei cattolici nelle formazioni partigiane e l’opera di assistenza della Chiesa ai perseguitati e agli oppressi e in difesa della popolazione che fu diffusa e importante rimase in una sorta di ‘memoria grigia’. La dinamica politica dei blocchi contrapposti e la dura lotta contro il comunismo, ispirata dai vertici dell’istituzione ecclesiastica cattolica, furono un freno alla giusta considerazione di un apporto fondamentale come lo furono quelle di tutte le componenti ideali e ideologiche nella lotta partigiana. Il clima politico nel Paese al tempo della Guerra Fredda internazionale condizionò anche il lavoro di ricerca e la storiografia resistenziale. Rievocare l’opposizione di alcuni cattolici al regime o la partecipazione di credenti alla Resistenza rischiava di avvicinare eccessivamente la Chiesa al fronte antifascista considerato saldamente guidato dalla sinistra. Per questo motivo, i cattolici scelsero di rappresentare la lotta resistenziale attraverso l’atto eroico individuale oppure il martirio del singolo sacerdote o militante dell’Azione cattolica, tralasciando di dare risalto alla dimensione collettiva di quella partecipazione, anche quando questa era stata presente. Con il tempo l’importanza del ruolo di tutte le componenti antifasciste nella lotta armata e politica per la libertà emerse e nel rinnovato clima storiografico, a partire dalle celebrazioni del cinquantesimo Anniversario della Liberazione (1995), nuove ricerche hanno valorizzato e ridato la giusta dignità al ruolo dei cattolici nella lotta di Liberazione. Furono messi in luce sia la Resistenza civile, sia quella armata da parte di cattolici, singolarmente o in gruppi organizzati, attraverso una ricostruzione più puntuale grazie ad un lavoro su fonti e documenti e alle testimonianze dei protagonisti che raccontarono l’impegno nella quotidiana disobbedienza e lotta contro il nazifascismo per la costruzione di un mondo alla quale le giovani generazioni si preparavano ad assumere il ruolo di classe dirigente. Si ridava così un volto alla Resistenza dei cattolici e al modo di essere cattolici nell’impegno resistenziale, valutando la qualità della partecipazione, il vissuto etico e le scelte politiche. Davanti ad una situazione di ingiustizia nei confronti della popolazione civile, la maggior parte dei vescovi, del clero, dei membri dell’associazionismo cattolico scelsero di mettersi dalla parte delle vittime, qualunque esse fossero, con un atteggiamento di condivisione considerata doverosa, sulla base di un ethos maturato solo sul terreno politico o ideologico, quanto in virtù di un universo di valori umani e religiosi, assumendo spesso i caratteri del martirio cristiano. “Nella tortura, Signore, serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Ti preghiamo, Signore, noi ribelli per amore”. È una delle più note frasi di “Ribelli per amore”, la preghiera dei partigiani composta dal beato Teresio Olivelli, partigiano cattolico. Una storia che si accompagna a centinaia di altre: come quelle del cappellano di don Giuseppe Pollarolo che filmò i partigiani in montagna, di don Berto Ferrari a Genova e don Giovanni Barbareschi delle Aquile randagie in Lombardia. O come quelle dei giovani combattenti: dalla staffetta partigiana Tina Anselmi al padovano Luigi Pierobon, comandante della brigata ‘Stella’ all’interno della divisione garibaldina ‘Ateo Garemi’; da Gino Pistoni, uno dei più celebrati martiri cattolici della Resistenza, nelle formazioni garibaldine in Valle d’Aosta a Aldo Gastaldi, il leggendario comandante “Bisagno” della banda Cichero (poi inquadrata nelle formazioni garibaldine) in Liguria e in Romagna l’esponente del movimento cattolico Alberto Marvelli, oggi beato. In quella temperie formativa e crudele, non emerse soltanto il mondo cattolico, ma tutta la comunità cristiana ebbe i suoi eroi martiri. In Italia ricordiamo il nome del pastore valdese Tullio Vinay, mentre in Germania vi furono gli esempi del sacrificio dei giovani della “Rosa Bianca”, partigiani anti-nazisti Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, del francescano polacco Massimiliano Kolbe ad Auschwitz fino quello del teologo luterano Dietrich Bonhoffer figura profonda e moderna impiccato per la sua opposizione al regime nazista a 39 anni, divenuto un punto di riferimento universale ed esemplare per tanti credenti e non credenti.


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