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Stefano Rossi

La Caporetto di Giorgia Meloni in Europa

di Stefano Rossi 


Ieri, 18 luglio 2024, Ursula Von Der Leyen è stata rieletta per un secondo mandato alla carica di Presidente della Commissione europea, con una maggioranza di 401 parlamentari. Questo importante passaggio politico-istituzionale è stato lungamento preparato nei mesi scorsi, ben prima delle elezioni europee, in un grande gioco politico di cui Giorgia Meloni ha fatto parte. I suoi esiti hanno segnato un vero proprio disastro per Giorgia Meloni, per il suo partito e per l’Italia, frutto di gravi errori strategici. Vediamo quali.

La presidente del Consiglio italiano poteva scegliere tra due strategie alternative in vista delle elezioni europee e della nomina della nuova Commissione:

1.       Entrare nella maggioranza di governo dell’UE sostenendo la rielezione di Ursula Von Der Leyen. Questo obiettivo le avrebbe consentito di ottenere concessioni (per l’Italia) e maggiore peso politico (per il suo partito e la relativa agenda politica) nella prossima legislatura europea 2024-2029. Per raggiungere questo obiettivo, Meloni doveva riuscire a coinvolgere quante più forze politiche in ECR, assumendo la leadership della destra europea e relegando AFD e le altre forze estremiste “impresentabili” a un ruolo di opposizione numericamente e politicamente sterile. La parola d’ordine era: portiamo l’agenda politica delle destre europee al governo dell’Europa.

2.       Andare all’opposizione in Europa, opponendosi alla candidatura di von der Leyen. Questo le avrebbe consentito di guidare una destra anti-europea e nazionalista, sacrificando l’interesse nazionale (l’Italia sarebbe stata molto isolata in Europa) in nome dell’interesse del partito. Inoltre, ciò le avrebbe consentito di sottrarre terreno ai partiti più estremisti, ponendosi a capo di un grande gruppo di opposizione nel tentativo di federare le destre intorno a una dura opposizione alla Commissione europea, con l’obiettivo di bloccare la nomina di von der Leyen e portare la sua testa agli elettori. Un disastro per l’Unione europea, una grande vittoria per le forze nazionaliste.

Il giorno dopo il voto che ha assicurato la rielezione, senza i voti di ECR e con il sostegno ufficiale dei Verdi (in aggiunta alla storica maggioranza popolari/liberali/socialisti) possiamo dire che Giorgia Meloni esce sconfitta due volte: è rimasta infatti esclusa dalla maggioranza, ma allo stesso tempo è stata esclusa anche dall’opposizione. In altre parole, ha fallito sia nel fare gli interessi dell’Italia, sia nel fare gli interessi del proprio partito.

Mi pare che questo fallimento su due fronti sia conseguenza della ambiguità strategica di Meloni rispetto alla rielezione di von der Leyen, ambiguità mantenuta fino all’ultimo minuto. Non che l’ambiguità strategica sia sbagliata di per sé, ma in questa vicenda è stata una scelta del tutto esiziale.

Apparentemente, Meloni aveva scelto la prima strada, costruendo negli ultimi mesi un rapporto di fiducia e stima reciproco con la presidente della Commissione Europea, che preannunciava un coinvolgimento di Fratelli d’Italia nella maggioranza europea. Almeno in parte, questo atteggiamento di Meloni le ha alienato le simpatie di alcuni partiti nazionalisti che, Orban in testa, hanno creato il gruppo Patrioti d’Europa ponendosi in competizione con ECR per la monopolizzazione della destra europea. L’adesione ai Patrioti di alcuni partiti che facevano parte di ECR (come Vox), e di molti transfughi del dissolto ID (Identità e Democrazia) ha ostacolato senz’altro i piani di Meloni, che non è stata in grado di mantenere il suo ruolo di guida e compattare i suoi alleati intorno al progetto di partecipare al governo dell’UE.

A fronte di queste uscite, alla leader di FdI restava comunque un gruppo importante (ancorché secondo per numeri rispetto ai Patrioti) che poteva ancora trarre un significativo vantaggio dall’ingresso in maggioranza. E, invece, sorprendentemente ECR (nella voce dell’italiano Procaccini) ha annunciato la mattina stessa del 18 luglio di lasciare libertà di scelta ai propri membri rispetto al sostegno a von der Leyen. Questa posizione ha sostanzialmente costretto la diretta interessata, a caccia di voti e minacciata dai franchi tiratori, ad aprire ai Verdi, assecondando in parte la loro agenda politica e abbandonando – a questo punto – le richieste di ECR.

Ancora più sorprendentemente, dopo il voto segreto che ha sancito la rielezione della Presidente uscente della Commissione europea, Procaccini ha dichiarato che Fratelli d’Italia aveva votato contro. In questo modo, vanificando del tutto i sacrifici fatti per entrare in maggioranza, ma comunque fuori tempo massimo per accreditarsi quale leader dell’opposizione, intanto aggregatasi intorno ai Patrioti di Orban.

Paradossalmente, Fratelli d’Italia non si trova oggi, né in maggioranza né all’opposizione, ma in un limbo - neppure in Purgatorio, il che le darebbe qualche chance a tempo... - incomprensibile di equilibrismi e ambiguità. Meloni ha infatti pagato il prezzo dell’ingresso in maggioranza (perdendo il controllo di molte forze di destra) e anche il prezzo dell’ingresso in opposizione (perdendo tutti i privilegi che avrebbe dato a lei e all’Italia il sostegno a von der Leyen), senza però godere dei vantaggi né dell’uno, né dell’altro. Una disfatta su entrambi i fronti.

Se almeno avesse tenuto la barra dritta sul sostegno a von der Leyen, una volta perso il primato a destra, avrebbe almeno goduto di un Commissario di peso per l’Italia e di numerosi vantaggi per il suo gruppo politico della gestione del potere europeo. Invece, probabilmente spaventata dalla competizione da destra, ha abbandonato all'ultimo tornante la strada verso la maggioranza, vanificando tutti gli sforzi fatti (e il prezzo politico già pagato) fino a quel momento.

Difficile dire adesso quale sia il futuro di ECR al Parlamento europeo, che non pare roseo, e anche quello del ruolo europeo dell’Italia – ricordiamolo, con un debito pubblico abnorme e una crescita che dipende in larga parte dai fondi del Next Generation EU e dalla futura politica fiscale dell’UE – dopo che Meloni si è astenuta al Consiglio europeo sulla decisione di proporre von der Leyen al Parlamento per un secondo mandato. Certo è che Meloni e tutto il suo partito devono aver sottovalutato che a Bruxelles (e a Strasburgo) si fa politica e non soltanto a colpi di slogan.

Che serva di lezione alla Presidente del Consiglio, per evitare nuove batoste per il suo partito e, soprattutto, per gli interessi del nostro Paese: nessun vento è buono per una nave senza rotta.

 

 

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