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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA: 60 anni fa la crisi dei missili a Cuba

di Germana Tappero Merlo


Esattamente sessant’anni ad oggi, il 16 ottobre 1962, iniziava la crisi per il dispiegamento di missili balistici sovietici a Cuba fra gli Stati Uniti e, appunto, l’ Unione Sovietica, all'epoca guidata da Nikita Krusciov. I primi si sentivano minacciati dalla presenza così prossima al loro territorio dell’ armamento più letale e di maggior precisione del loro antagonista.

Una frizione diplomatica così elevata che, seppur rientrata nell’arco di poche settimane, fece temere lo spettro di una deflagrazione atomica senza via di ritorno, per entrambi i contendenti e soprattutto per i loro alleati dei differenti blocchi. Sull’incompatibilità ideologica prevalse comunque il buon senso, a cui diede un impulso decisivo l’intervento dell’allora pontefice, Papa Giovanni XXIII: i missili e altro armamento sovietico vennero ritirati da Cuba così come quelli statunitensi dalla Turchia. Sarebbero seguiti numerosi accordi al fine di disinnescare eventuali tensioni attinenti allora alla logica di confronto della Guerra fredda.


Divagazioni... sulle armi nucleare tattiche

Proprio i motivi di quella crisi sono stati più volte rievocati da parecchi osservatori internazionali all’inizio dell’attuale operazione speciale russa in Ucraina come una delle ragioni di Putin, perché un’eventuale adesione ucraina alla Nato – come desiderato dalla presidenza Zelensky - sortirebbe per la Russia lo stesso effetto di minaccia al proprio “cortile di casa”, come percepito allora dall’amministrazione statunitense del presidente americano J.F. Kennedy.

Le ragioni addotte da Putin sono comunque anche molte altre, risalenti ad una crisi ben più datata, e già perfettamente note all’opinione pubblica mondiale. Per una infausta combinazione di eventi, proprio in questi giorni il possibile ricorso ad un utilizzo del nucleare come conseguenza dell’escalation del conflitto in Ucraina è stato minacciato, dopo essere stato preannunciato nei mesi scorsi da Putin, frettolosamente ritirato e poi nuovamente rilanciato anche da parte occidentale, tanto da far affermare al presidente Biden (ironia della sorte, non solo democratico, ma anche cattolico come J.F. Kennedy) di essere a rischio di Armageddon, l’ Apocalisse nucleare[1]. La retorica distopica statunitense ha trovato una camera d’eco formidabile in chi, da questa parte del mondo, sostiene che sarebbe possibile un ricorso da parte di Putin alle armi nucleari tattiche (TNW), con il loro potenziale distruttivo ridotto, come pure per ritorsione da chi sostiene la difesa dell’Ucraina. Insomma, il rischio di deflagrazione nucleare c’è, è colpa di Putin ma, tranquilli, con le armi nucleari tattiche i danni sarebbero limitati geograficamente.


La simulazione voluta da Ronald Reagan

A costoro, a quanto pare, sono ignoti i risultati di quell’esercitazione di war-game voluta dal presidente 40° presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan che, nel 1983, a fronte della sciagurata convinzione di alcuni strateghi del Pentagono che parlavano di “escalation to de-escalation”, ossia puntare ad un confronto anche nucleare a bassa potenza con il nemico a fini deterrenti, ordinò appunto la simulazione Proud Prophet[2]. In pratica, vennero riprodotte azioni e reazioni sulla base delle reciproche logiche di guerra, statunitensi e del nemico sovietico, mettendosi ciascuno nel ruolo della controparte, senza conoscerne anticipatamente i piani, nei tempi ristretti e con la tensione fisica propri di un vero campo di battaglia, per quanto possibile in una simulazione a tavolino.

I risultati furono chiari e raggelanti ogni speranza di chi voleva vie di fuga facili dall’Apocalisse nucleare: infatti, l’uso di armi nucleari tattiche avrebbe solo rimandato, e nell’arco della stessa crisi, il confronto atomico finale.

Si potrebbe replicare che non era necessario risuscitare i fantasmi di una presidenza così lontana: basta il buon senso, scevri quindi dal fanatico quanto temibile militarismo che pare abbondare anche negli alti livelli della politica in Europa, per comprendere oggi il rischio di una tale deriva. Infatti, il buon senso non è così scontato in strateghi e analisti ma soprattutto in parecchi commentatori militari, in particolare da questa parte di mondo che continua ad illudersi di non essere parte attiva e diretta in quella guerra. Il risultato del prospettare l’uso del nucleare, infatti, è solo quello di aggiungere benzina a una tensione bellica fra Russia e Ucraina, notevolmente aumentata in questi giorni dopo l’esplosione sul ponte Kerch[3] e la risposta-rappresaglia russa di bombardamento massiccio di numerose città ucraine, oltre la stessa Kiev.


I falchi della Nato e i fanatismi di Mosca

Quindi alle condizioni attuali del conflitto, il rischio è solo quello di aumentare la tensione che conduce a proporre cose scriteriate, come test nucleari dimostrativi in aree come quella artica, ad esempio[4]. E se a inizio settimana il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, parlava di possibili esercitazioni di deterrenza nucleare da tenersi a partire già da ora, con la simulazione di un attacco nucleare utilizzando B-52, non è bastato che i satelliti rivelassero l’arrivo di altri bombardieri in una base russa vicino al confine con la Norvegia per far cambiare i toni anche di chi, irriducibile e divisivo all’interno della Nato, non escludeva il possibile ricorso a TNW. Ne era seguita una lettera di intenti su un accordo per l’acquisto di sistemi di difesa aerea Arrow 3 (Israele) e Patriot (Usa) firmata da 14 Paesi, quindi non da tutti i membri del Patto Atlantico.


Si registrava, infatti, una frenata dal punto di vista diplomatico dato che, secondo il segretario alla Difesa US, Lloyd Austin, Ungheria e Turchia stanno ritardando il coinvolgimento della Finlandia e della Svezia nella Nato, da cui il pressante invito statunitense ad accelerare la ratifica dei protocolli d’intesa[5]. Al dietro-front sulle TNW (anche russo nelle parole di Lavrov, “solo in caso di annientamento della Russia”, e di Lukashenko, “solo atto difensivo”) non è corrisposto comunque un allentamento della tensione, quasi a soddisfare il fanatismo russo e l’arroganza, questa volta, di numerosi invasati nostrani.


L’attacco mirato al ponte Kerch, siglato da Putin come atto terroristico perché atto di sabotaggio contro un’infrastruttura civile, ha introdotto brutalmente il termine “terrorismo”, appunto, in questa guerra, da cui l’affermazione del falco Dmitrij Anatol'evič Medvedev, vice presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, secondo cui la reazione non può essere che “la distruzione diretta” dei terroristi. Toni duri da propaganda, forse, dato che voci di intelligence occidentale parlano di una Russia ormai a scarsità di uomini e materiali. Questa è però la guerra, che è molto oltre l’operatività nei domini tradizionali di terra, cielo e mare: è anche informazione, controinformazione, terrorismo sul campo – tattica ormai pressoché dominante in tutti gli scenari bellici - con attacchi mirati a forte impatto psicologico, anche nel dominio meno evidente ma comunque ora molto guerreggiato in altri modi, che è quello cyber[6].


L'ultimo reclutato: il terrorismo

Il terrorismo, inoltre, è per sua natura una tattica di annichilimento psicologico dei civili. Infatti, lo si è visto nella risposta russa a Kerch, con gli attacchi mirati, condotti con lancio di missili da crociera, in profondità del territorio ucraino, con un 30% delle infrastrutture energetiche ucraine colpite dai russi. Al terrore su Kerch si è risposto, quindi, col terrore nelle città ucraine e, di rimando, la replica di Kiev, forte ormai di oltre 17 miliardi di dollari di sostegno bellico statunitense, su quella russa di Belgorod; e si sta ancora bombardando su entrambi i fronti. Perché questa è la logica di chi vuole l’annientamento del nemico. Lezione che dovrebbe valere anche per i fautori dell’uso di TNW.


Attacchi russi mirati, anche di successo, attraverso missili tattici operativi ad alta precisione (X-55 e X-101, Tornado, Calibre e Iskander) e grazie alla dotazione di droni suicidi Shahed-136 e Mohajer-6 di fabbricazione iraniana[7]. E se l’Iran nega il coinvolgimento, fonti ucraine sostengono che vi siano militari iraniani in Crimea e a Kherson al servizio di quelli russi proprio al fine di istruire all’uso di quei droni.

Notizia confermata dall’intelligence inglese (che asserisce altresìche 10mila soldati ucraini hanno completato l’addestramento militare proprio nel Regno Unito)[8] e da un funzionario senior di quella israeliana che, in un’intervista a The New York Times[9], ha affermato che Israele fornisce informazioni di intelligence sull’operatività di questi droni suicidi venduti da Teheran a Mosca (fonti ucraine parlano di 2400 unità), così come immagini satellitari.

L'ingresso dell'Iran nello scenario di guerra

Ed è proprio l’Iran, scosso da una dura protesta popolare interna e con fronti di massiccia repressione militare nuovamente aperti nei suoi Kurdistan (nord-ovest)[10] e Beluchistan (sud-est), entrambi dalle aspirazioni separatiste, ad essere protagonista nei più recenti report occidentali sulla guerra in Ucraina, a fianco della Russia in un sodalizio che li vede da sempre alleati in Siria a sostegno del regime di Assad. E proprio gli spettri di una guerra siriana mai finita paiono aleggiare in quella ucraina; come, parimenti, la recente adesione dell’Iran alla Shangai Cooperation Organization[11] è stata intesa, per i suoi nemici, come uno sgarbo da pagare, da cui il supporto esterno alle proteste, peraltro fondate e nate spontaneamente, dei giovani iraniani contro il regime degli Ayatollah e lo strapotere delle milizie Basij.


Inoltre, i timori di una nuova corsa al nucleare iraniano[12] alimentano le preoccupazioni di altri soggetti nella regione, con conseguenti reazioni sui campi di battaglia, come appunto l’Ucraina, o nel coalizzare l’opposizione verso l'Iran della repressione e della guerriglia urbana. Perché, nelle complesse relazioni internazionali di questo nuovo millennio, tutto è globalmente e drammaticamente connesso. Nulla è a sé stante. Ed è così che si ritorna al punto di partenza di queste riflessioni. Per quanto la si voglia allontanare, la minaccia di un Armageddon nucleare finisce per influenzare le reazioni della politica più di ogni altra azione militare convenzionale, ma come pure quelle di buon senso e rivolte al dialogo. Sembra essere ancora una volta la prepotenza dei mezzi bellici a prevalere sull’incostanza della ragione per scacciare i timori che sopravvivano i propri nemici, anche di questa parte di mondo.


Note [1]https://www.nbcnews.com/politics/joe-biden/biden-warns-risk-nuclear-armageddon-highest-cuban-missile-crisis-rcna51146 [2]P. Bracken, The Second Nuclear Age: Strategy, Danger, and the New Power Politics, New York 2012; https://nsarchive.gwu.edu/briefing-book/nuclear-vault/2016-12-22/reagans-nuclear-war-briefing-declassified#_edn9 [3]https://www.laportadivetro.com/post/attentato-ponte-di-crimea-primi-arresti-sono-cittadini-russi-e-ucraini [4]Ed è quanto temuto da Nicolai Sokov, del centro per il disarmo e la non-proliferazione nucleare di Vienna, in una intervista a EuroNews già ad inizio ottobre. Nell’Artico, infatti, convergono gli interessi strategici di Russia, Stati Uniti e Canada, ma anche di due Paesi europei e Nato, come Danimarca e Norvegia. https://www.youtube.com/watch?v=qkIYSKO3w7M [5]https://twitter.com/nexta_tv/status/1580658803057790976?ref_src=twsrc%5Etfw [6]https://casstt.com/post/cyber-element-in-the-russia-ukraine-war-its-global-implications/704 [7]https://www.dronezine.it/33819/iran-svela-saegeh-drone-derivato-dal-sentinel-americano/

[8]https://twitter.com/nexta_tv/status/1580244637284900864?ref_src=twsrc%5Etfw [9]https://www.nytimes.com/2022/10/12/world/europe/ukraine-russia-missile-defense.html [10]https://www.open.online/2022/10/11/iran-kurdistan-sanandaj-repressione-proteste-mitragliatrici-vs-persone-case-video/ [11]https://www.laportadivetro.com/post/il-grande-gioco-della-sco-per-un-nuovo-ordine-mondiale [12]La terza delle tre centrifughe avanzate IR-6 a cascata, recentemente installate nell’impianto iraniano di Natanz, è entrata in funzione.

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