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10 febbraio: il ricordo dei “naufraghi nella tempesta della pace”

Aggiornamento: 23 apr 2023

di Marco Travaglini

La data del 10 febbraio di ogni anno è stata inserita nel calendario civile italiano come il “Giorno del Ricordo”. Una ricorrenza che riporta al 10 febbraio del 1947, giorno in cui furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia. Dal 2004, grazie alla legge n. 92, la Repubblica stabilisce alla scadenza della prima decade di febbraio il “Giorno del Ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Un atto dovuto e necessario perché la tragedia delle foibe e l’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia sono una ferita sulla quale nel nostro Paese era stata stesa per troppo tempo una densa cortina di silenzio. Lo storico Guido Crainz, intervenendo ad un convegno, ha ricordato quando nel febbraio del 1947 un cinegiornale della “Settimana Incom”, proiettato nei cinema durante l’intervallo dei film, trattando l’argomento dell’esodo dall’Istria, chiamava i profughi istriani “naufraghi nella tempesta della pace”. Un termine carico di significato e di storia, in grado di cogliere i tutta la sua drammaticità il dolore, le paure, le speranze delle decine di migliaia di persone che hanno vissuto quell’intricato momento storico, caratterizzato dallo scontro tra nazionalismi feroci ed esasperati. Il confine nord-orientale dell’Italia è stato dilaniato da lotte nazionaliste, ostilità e violenze spesso volutamente dimenticate per ragioni di politica internazionale e nazionale. La violenza e la crudeltà di certi eventi e la sistematica discriminazione razziale che porta all’esodo, non deve fare dimenticare che questi atti sono in parte il frutto di altre precedenti violenze, di altre precedenti discriminazioni, in una triste e tremenda catena di ritorsioni, vendette e strategie discriminatorie. Da tempo ormai la parola foiba non descrive più semplicemente il territorio carsico triestino e giuliano ma è diventata un termine atroce, simbolo di una tragedia che si è consumata al confine orientale e che ha come sfondo la seconda guerra mondiale, il fascismo di confine, il totalitarismo comunista. Si è trattato di una tragedia a lungo rimossa, ma ricordarla ci rende tutti più forti e credibili nella difesa e nell’affermazione dei valori fondamentali sui quali è nata e si è costruita la nostra Repubblica. Nessuna violenza che mortifichi quei valori può essere giustificata, neanche come risposta a violenze subite. Non può essere negato infatti che il fascismo italiano, con l’occupazione militare, abbia esercitato contro le popolazioni istriane soprusi, misfatti e violenze che produssero ritorsioni. Ritorsioni, a loro volta, terribili e disumane per la ferocia dei combattenti di Tito. Le foibe furono il prodotto di odi diversi, etnici, nazionalistici, ideologici. Secondo alcuni storici si trattò di un fenomeno dovuto sia alla politica di italianizzazione forzata da parte del fascismo, che mirava all’annullamento dell’identità nazionale delle comunità slovene e croate, sia alla politica espansionistica di Tito per annettersi Trieste e il goriziano. Da tempo, terminata la lunga notte della guerra fredda, è possibile una lettura meno ideologica di quelle vicende ed è possibile condividere analisi più serene e obiettive. La tragedia delle foibe fa parte della memoria di tutti gli italiani e della storia del Paese. Ristabilire il dovuto riconoscimento di quelle vicende tragiche e dolorose è necessario per la costruzione di un’Europa poggiata su basi di condivisione che rendano più estesi e radicati i valori fondamentali della convivenza tra diversi, del multiculturalismo e del pluralismo di ogni genere.




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