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I Gesù Bambino rubati sono il furto dei nostri valori culturali

di Cinzia Bosso ed Emanuele Davide Ruffino


Le feste sono finite ed è ora di bilanci che quest’anno annoverano anche i furti di immagine sacre dai Presepi. Una ragione per domandarsi se i Gesù Bambino rubati, sono finiti insieme alle tante buone intenzioni formulate. Il Piemonte non fa eccezione e dopo i furti di statuette perpetrati a Varese, Cesena, Ferrara, Treviglio è accaduto anche alle porte di Torino, nel comune di Orbassano, ma in quest’ultimo caso si è avuta la restituzione, a differenza di altri casi in cui il "corpo del reato" viene trattenuto come testimonianza della bravata o dello sfregio compiuto. In termini economici c’è da chiedersi quanto è costato ognuno di questi furti in termini di tempo, benzina per gli spostamenti, freddo accumulato negli appostamenti, etc. Dalle indagini sono esclusi gli economisti che non riescono a capire perché tanto impegno di risorse per oggetti che, estratti da contesto, non presentano alcun valore.

Peggior sorte agli Alberi di Natale “bruciati” a Nichelino, Milano, Pegli, Quartuccio, Camerano, Piazza Alimonda a Torino. L'elevato numero di furti di Presepi allestiti all’aperto e degli atti vandalici in genere contro simboli della cultura e delle tradizioni cristiane obbliga a riflettere. Certamente non si tratta di una manifestazione di particolare abilità: sottrarre un oggetto incustodito in un area pubblica (giustificazione immorale, ma comprensibile di alcuni hacker che si limitano ad entrare in un sistema senza rubare nulla solo per dimostrare le loro capacità), non è un atto di presunto coraggio, come quei soggetti che mettono a repentaglio la loro stessa vita in imprese al limite del ridicolo (come chi si appoggiava ai muri della metropolitana di New York ed aspettava il passaggio dei treni) e tanti altri episodi estremi che sono costata la vita a molte persone.

Rubare una statuetta di cartone non sottopone a particolari rischi eppure piace a molti. Come fu la liberazione delle statuette dei sette nani dai giardini opera del “Fronte di liberazione dei nani da giardino”, movimento nato in Francia e diffusosi in tutta Europa. Sono lontani i tempi quando i templi degli antichi Egizi e Greci fungevano da tesorerie inviolabili, forti della sacralità del luogo. Si può ricondurre il tutto a bravate giovanili e a comportamenti immaturi oppure una profonda irrazionalità dei comportamenti di alcuni gruppi che, in mancanza di valori, per dimostrare la propria esistenza, attuano comportamenti volutamente dettati dalla ricerca di un’emozione momentanea (come “guidare a fari spenti nella notta, per vedere se poi è così difficile morire” come cantava Lucio Battisti).

Rubare un cestino da un parco pubblico o una cassetta delle lettere non fa notizia e neanche i defraudati ormai non presentano più denuncia, ma rubare da un Presepe c’è la palese volontà di fare qualcosa di eclatante, di far parlare di sé, di essere attori di un fatto che fa notizia. Privi di valori e soprattutto privi di una capacità di rapportarsi con gli altri, si cerca di “combinarne qualcuna” o di inventarsi qualcosa per dimostrare la propria esistenza, più a sé stessi, che non verso una collettività che li biasima (ma forse proprio il fatto di essere considerati negativamente, incentiva l’atto).

La negazione delle tradizioni rappresenta una corrente di pensiero sicuramente presente e che fa leva su presunte condizioni di uguaglianza nel voler proibire il Presepe nelle scuole perché irriterebbe la sensibilità di qualcuno (per poi distrarsi dalla presenza di obblighi che offendono la liberta di molte persone, soprattutto donne in tante parti del mondo).  Il problema è che, se si tolgono i riferimenti culturali e i sistemi valoriali, si rischia di creare una società dove tutto è permesso, anche inventarsi le notizie, mentre responsabilità e buona educazione sono visti come termini desueti ed anacronistici. E così di fronte ad un atto vandalico sono in molti che si irritano perché non è ancora stata fatta pulizia, come se la colpa fosse degli orari degli operatori ecologici.

 

Caduta dei principi e violenza dilagante

C’è da chiedersi in che cosa credono o, semplicemente, che cosa passa per la testa di quei soggetti che compiono certi atti. Ma se si fa mente locale sono molte le notizie (associata all’assenza di educazione sociale e familiare) che possono, portare a comportamenti irrazionali. La violenza contro un simbolo innocente, portatore di pace, rappresenta un disagio del soggetto portato a disprezzare tutto ciò che lo circonda, dal monumento artistico, all’immagine sacra e a tutto ciò che c’è di buono e che lo fa sentire disadattato ed escluso. Il rifiuto di sé porta anche al rifiuto degli altri indistintamente (non un nemico, ma solo la voglia di sfogare una rabbia), come dimostrano le stragi insulse compiuta da giovani negli Stati Uniti, in Norvegia, nella Repubblica ceca, purtroppo già riprese anche in questo inizio del 2024.

Il rifiuto della società e della civiltà assume così una posizione estremista che trova apologeti in chi predica la distruzione delle democrazie o, come Boko Haram dichiara apertamente che “l’istruzione occidentale dev’essere proibita”. A ciò si aggiunge come in più Paesi viene impedita qualsiasi forma di istruzione alle donne e che l’ipotesi di eliminare l’etnia rivale si ripresenta sempre più frequentemente nel frasario degli estremisti; ricordiamo il massacro in Ruanda di un milione di persone appartenenti all'etnia Tutsi nel 1994, il genocidio di Ebrei, Zingari ed Armeni.

Noi occidentali, detentori di una cultura tra le più civili e democratiche mai raggiunte sulla Terra, sembriamo più impegnati a rubare i Gesù Bambino, a bruciare gli Alberi di Natale e a inventare fake news che non a garantire pari diritti civili in tutte le parti del mondo. Alcuni persone non hanno più riferimenti e la società sembra non più volergliene trasmettere. E il sistema educativo e pedagogico che concede oramai libertà mai condizionata della riflessione sulle conseguenze, ha determinato la progressiva perdita di riferimenti ideologici ed etici.

Per contro, esaminando i dati del volontariato, si riscontra ancora un profondo senso filantropico che però non trova altrettanta enfasi sui mass media. Se è vero che fa più rumore un albero che cade che non una foresta che cresce, è dovere di tutti, assicurare le condizioni che la foresta cresca (sia in senso reale, sia metaforico) perché il nostro futuro non è dato da chi incendia alberi, ma da chi si pone il problema di creare regole di convivenza e condizioni perché queste diventino patrimonio di tutti.

 

 

 

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