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Giovani e adulti: siamo nella fase di Post-narcisismo?

di Stefano Maria Cavalitto

Ho letto con molto interesse ed attenzione l’editoriale della domenica del 19 novembre scorso che trattava con sentimento e fini riflessioni il tema del cosiddetto disagio giovanile, in consonanza col fatto che il 20 novembre è la giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza.[1]

Le considerazioni e gli stimoli portati da Guido Tallone su La Porta di Vetro sono, prima di tutto, un doloroso constatare l’esiguità di attenzioni e soprattutto risorse che il panorama sociale attuale riserva a tale fascia di età, nonostante la prosopopea dei discorsi e dei proclami a vario livello.

Concordo in particolar modo con il considerare la dimensione complessa del fenomeno che non può essere ridotto da un lato a creare utopisticamente “mondi a misura di bambino o adolescente” come se questi dovessero vivere in una sorta di riserva a loro dedicata e non piuttosto il contrario, cioè accogliere infanzia ed adolescenza nel mondo in modo tale che effettivamente il “mondo” non solo sia disponibile ad accogliere le dinamiche non lineari di crescita che caratterizzano l’età evolutiva, ma ne sia anche virtuosamente contagiato: contagiato dall’energia e dalla disponibilità al cambiamento che tali dinamiche portano con sé. E dall’altro non sia parimenti ridotto alla delega ai professionisti della cura, psicologi o psichiatri che siano, con un gesto che, anche se a volte ingenuo, risulta quasi espulsivo nei confronti del giovane paziente. Un gesto che potremmo riassumere con la richiesta genitoriale che più o meno suona così: “Ecco l’ adolescente dottore, per favore me lo aggiusti…”.

Fortunatamente la richiesta che qui ho deliberatamente reso esagerata e provocatoria nell’espressione linguistica usata, non è la norma. Tuttavia non è poi così lontana dalle fantasie, ripeto spesso in buona fede, di chi vede crescere nella propria prole sintomi e disagio espressi nelle forme più disparate, tanto da dover convincere o convincersi che sia necessaria una presa in carico di tipo specialistico.

In sostanza la richiesta di adattamento talvolta è più pressante che la richiesta di cura. Cura come prendersi cura del soggetto e del suo singolare, anzi unico, processo evolutivo che non può che avvenire in un tempo anch’esso unico e singolare per ognuno di noi (anche non adolescente…).

Con questo non credo di sbilanciarmi in una sorta di apologia del disadattamento come matrice di coorti di giovani che così non troveranno mai posto nel mondo; esserci significa essere nel mondo, in questo mondo che tentiamo anche di cambiare con slanci eroici spesso proprio di origine giovanile. Significa tuttavia essere nel mondo con il modo di ognuno di noi.

E ancora, a proposito di adattamento: adattamento a cosa? Il mondo in cui viviamo, possiamo anche dire la dimensione sociale che abitiamo, con riferimento ovviamente a quello che chiamiamo mondo occidentale (che ossimoricamente ormai comprende anche almeno alcune ampie parti dell’Asia, dell’oriente, si pensi a certe zone dell’India o del Giappone ed al loro stile di vita occidentalizzato) quale modello propone? La fluidità valoriale contemporanea è assai potente, la liquidità dei confini tra ciò che può essere considerato bene o male altrettanto.

Qui colgo allora piacevolmente il riferimento che Tallone fa al concetto di post-narcisismo presumo tratto da uno scritto di Matteo Lancini dell’Associazione il Minotauro di Milano che ne sa molto in fatto di disagio giovanile e cura di esso. In sintesi ciò che Lancini dice nei suoi ultimi scritti - spero di esserne traduttore fedele - è che con il termine post narcisismo si indica una fase ulteriore da quella definita appunto narcisistica. Quest’ultima che a vari gradi e dosi può aver segnato le generazioni oramai genitoriali attuali incide sui bambini ed adolescenti contemporanei con una richiesta drammaticamente paradossale che Lancini stesso esplicita: “Sii te stesso, ma a modo mio”.

L’adattamento o l’iperadattamento quindi non è solo a più o meno rigide o faticose dinamiche che il cosiddetto mondo adulto comporta, ma diventa anche una forzata centratura su una richiesta altrui (post-narcisistica secondo il linguaggio citato poco sopra) che oltre a non lasciare spazio ad alcuna scintilla di autenticità, pone il processo evolutivo ed individuativo in uno stallo, in una sorta di aporia mortifera.

La conseguenza di tale dinamica è un vuoto identitario, un vuoto esistenziale che si riempie di disagio e sintomi. L’ansia non è più o solo da prestazione, ma è angoscia da contatto col vuoto.

Ricominciare quindi, proprio paradossalmente, dall’educazione anche alla caduta ed al fallimento, a tollerare il vuoto non come catastrofe e disgregazione, ma come possibile passaggio evolutivo è (forse) il primo passo per disinnescare la dissoluzione nello specchio di Narciso. Anche quello post.

Chiudo con un piccolo episodio professionale personale: nel corridoio di una istituzione per minori in difficoltà che frequento da qualche tempo, per la precisione una Comunità (comunità, che bella parola, vero? Riusciamo a renderla ancora viva?) ogni volta che entro vedo davanti a me un bel manifesto, ben incorniciato con una frase che recita: “Sono uguale a tutti gli altri, diverso.”


Note



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