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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Il buio che avvolge la vita dei nostri adolescenti

Aggiornamento: 19 nov 2023

di Guido Tallone

Domani, 20 novembre, è la giornata internazionale dedicata all’infanzia e all’adolescenza. Cioè, da sempre, quella parte dell'insieme su cui l'umanità punta per il proprio futuro e che viene forgiata da chi la precede per condividerne le prospettive. Un'impresa che oggi si sta rivelando titanica. Ma non per responsabilità dei nostri adolescenti. Che non sono più tantissimi come negli anni ’60, 70 del secolo scorso. Anzi, sono decisamente di meno. Vivono però in case più confortevoli di ieri. I loro genitori hanno titoli di studio superiori a quelli dei nonni. Ma per molti di loro la scuola rischia di diventare il palco sul quale va in onda l’ansia da prestazione (inculcata da genitori sempre più esigenti nel saldare l’affetto per il figlio con il risultato scolastico). Per altri la scuola è il luogo in cui si sta bene grazie al gruppo dei pari, ma dove ci si sente poco capiti da adulti con tanta autorità e – in diversi casi – con poca autorevolezza. Per altri ancora – invece – la scuola è la ferita aperta di un abbandono che andrebbe declinato al participio passato (“abbandonati”) e che riguarda più di quattro milioni di ragazzi che non hanno portato a termine il percorso formativo avviato dopo la scuola secondaria di prima grado (la vecchia scuola media).

Sono i nostri giovanissimi. Gli adolescenti e preadolescenti nati nel terzo millennio e che in questi anni stanno uscendo da un’infanzia super protetta per prepararsi ad entrare nel mare aperto della vita con testa e cuore prede dell'ansia e, molti di loro, alle prese con un malessere profondo al quale non riescono a dare un nome. Qualcuno di loro lo chiama depressione (i dati parlano di circa 800mila ragazzi alle prese con questo disturbo), altri si sentono aggrediti da attacchi di panico che non sempre riescono a tenere a bada. L’elenco delle sofferenze che si incollano sulla pelle dei nostri ragazzi è noto: ansia, disturbi alimentari (sono circa due milioni i ragazzi affetti da questo malessere: l’8% delle femmine e lo 0,5% dei maschi), isolamenti forzati a causa di profondi sensi di inadeguatezza e vergogna (si calcola che in Italia siano più di 60.000 i teenagers che si ritirano dalla vita sociale, i cosiddetti hikikomori); uso e abuso di psicofarmaci (le stime parlano di almeno 300.000 ragazzi tra i 14 e 19 anni che, nel 2022, hanno assunto psicofarmaci senza nessuna prescrizione medica).


I minori nel sistema carcerario

Molto interessanti anche i dati pubblicati dal Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, Ufficio statistica, sui Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi minorili. La fotografia è stata scattata il 31 ottobre scorso e le cifre si riferiscono al 2022 e al primo semestre dell’anno in corso e ci restituisce l'immagine di minorenni e giovani adulti italiani in carico agli USSM per l'esecuzione di un provvedimento e/o per indagini sociali e progetti trattamentali: rispetto agli 11.772 del 2007 sono passati a 18.814 nel 2022. Ho riportato i dati relativi solo ai ragazzi di cittadinanza italiana. Se a questi si aggiungono anche minori con altre nazionalità si passa dai 14744 ragazzi in carico al sistema penale del 2007 ai 21.551 del 2022. Crescite impressionanti soprattutto se dietro alle cifre si scorgono i volti, gli occhi e i corpi di ragazze e ragazzi che chiedono aiuto e che non trovano molti adulti disposti a chinarsi su di loro e a costruire, insieme a loro, scenari di speranza.

Per sintetizzare: sono ragazzi decisamente più ricchi di ieri a livello sociale, ma chi li osserva rilegge su di loro moltissime fragilità dei loro di adulti di riferimento (fatte proprie e interiorizzate)

Chi li studia ci dice che non sono più ribelli, trasgressivi e disobbedienti come erano i loro nonni. Hanno anche abbandonato le sponde del narcisismo proposto con abbondanza, nei decenni precedenti, da famiglie affettive, poco normative e tanto interessate a spingere i loro figli verso le mete del successo, della bellezza e della popolarità. Il patto era chiaro: ti ho messo al mondo, ma tu ripaghi le mie fatiche con un forte ritorno di immagine, di prestazioni eccellenti e di prestigio.


L'ingresso nell'epoca postnarcisistica

Oggi i nostri ragazzi sono entrati nell’epoca del postnarcisismo, ci dicono gli addetti ai lavori. Che si caratterizza come il tempo in cui si chiede a chi sta crescendo di interiorizzare ordini, disposizioni e comandi impartiti da quanti hanno responsabilità su di loro per spegnere le loro stesse ansie.

Adulti, per intenderci, che si avvertono inadeguati (con sensi di vuoto, confusioni identitarie e insoddisfazioni esistenziali) e che per coprire questi vuoti affidano ai figli l’impossibile compito di aiutarli a farli sentire adulti adeguati. In poche parole: adulti che non reggono le fatiche del crescere dei figli, che non le tollerano e che non le vogliono incontrare e dunque nemmeno ascoltare perché si presentano, per loro, come troppo dolorose. E quando l’ansia dell’adolescente diventa angoscia (perché è questo ciò che sta accadendo), la sola cosa da fare, in casa, è continuare a chiamarla “ansia”, anche perché è troppo angosciante per chi vive il ruolo genitoriale confrontarsi con questo dolore. Molto meglio illudersi di spegnerla solo con pastiglie e con farmaci vari. Adolescenti che verranno ricordati come la generazione che oltre alle fatiche del crescere ha dovuto assumersi anche l’onere del sostenere i sensi di inadeguatezza dei propri educatori per non vederli crollare.

Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta che dirige la Fondazione Minotauro di Milano, ha sintetizzato molto bene questa prospettiva rovesciata. Ai nostri ragazzi le loro famiglie dicono: “ Sii te stesso a modo mio”. E in un bellissimo libro ("Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta") analizza con lucidità e puntualità come il mondo dei grandi si aggrappi al mondo dei nostri ragazzi per curare le proprie insicurezze. Ma se moltissimi nostri ragazzi stanno male, possiamo continuare a fingere di non sentirli, di non vederli e fare sforzi continui per non ascoltarli? Possiamo limitarci ad accompagnarli dallo psicologo o dallo psichiatra perché contengano, con stampelle farmacologiche, i vuoti che hanno ereditato, le loro depressioni o ciò che molti chiamano “ansia-angoscia”?


Investiamo sul nostro "capitale sociale"

Alla vigilia del 20 novembre – Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza – sono profondamente convinto che ci sia chiesto di fare di più. A partire dal non ridurre questa Giornata alla sola Infanzia. Sul fatto che debbano essere incrementate le attenzioni ai bambini e che si debba irrobustire la rete dei diritti che sorregge il loro crescere, non ci sono dubbi. In nessuno.

Il vero grande buco nero del nostro sistema sociale sono però gli adolescenti. Che non votano, non firmano, non fanno lobby e che non sono capaci di organizzare in modo sistematico e forte le loro richieste. Giardini e aree giochi sono quasi esclusivamente rivolte ai bambini con tanto di controlli e di sorveglianze varie (esercitate da mamme, nonne e parenti vari), perché i giovanissimi non si avvicinino per disturbare o per vandalizzare il tutto.

Per i nostri adolescenti mancano le vere politiche dell’accompagnamento. Per questa età non si investe a sufficienza in educatori, in sostegni professionali, in aiuti psicologici diffusi e in spazi aperti per loro: dove chi cresce può provare ad essere se stesso, senza doversi sempre adeguare e appiattire su aspettative mute, ma vincolanti imposte dai genitori. Spazi e luoghi dove sia loro permesso il piangere e il gridare il proprio stare male; dove possano tirare fuori la tristezza che li avvolge e la gioia che provano senza doversi porre il problema di quale reazione avrà l’adulto che ha investito su di lui. Adolescenti che cercano laboratori in cui si può “stare” in una sana e leggera aggregazione senza però dover entrare in rigide e fiscali appartenenze. Dove si può tentare una strada e scoprire che il senso di fallimento che si sta sperimentando è sano e propedeutico ad un nuovo e più liberante cammino.

Non è un caso se il grande assente della Giornata celebrata il 20 novembre è quasi sempre la realtà dei nostri ragazzi (omettendo la parola Adolescenza dalle celebrazioni della Giornata). Per i nostri ragazzi si “parla” molto con le categorie del controllo sociale, della vigilanza, delle videosorveglianze, della repressione e anche dell’ampliamento delle possibilità di entrare in strutture detentive. Non si investe però quasi nulla per dare a questa delicatissima età le attenzioni necessarie. Alcuni Enti Locali hanno provato a costruire Spazi Ragazzi per accogliere con dignità professione e con decorose risposte il diritto alla aggregazione e al tempo libero dei ragazzi (perché non diventi tempo vuoto o tempo perso). Il risultato, però, è sempre lo stesso: mancanza di fondi, rinvii al prossimo bilancio nella speranza di recuperare fondi che puntualmente non arrivano. Aperture a singhiozzo e chiusure prolungate. Rimpalli di responsabilità. Convegni altisonanti e silenzi carichi di omissioni più rumorose dei convegni.

Sii te stesso a modo tuo, è il nostro grande invito ai nostri ragazzi. Con l’augurio che prima o poi nasca nei grandi e nelle nostre politiche il coraggio di fare e di dare Spazi ai Ragazzi oltre la retorica, le campagne elettorali e i controlli.


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