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Roberto Niccolai

Folla immensa a Lisbona per il Cinquantenario della Rivoluzione dei Garofani

Aggiornamento: 1 mag

di Roberto Niccolai


Il direttore dell'’Archivio Roberto Marini di Pistoia, un luogo di storia e memoria aperto al pubblico che conserva un’ampia documentazione sugli avvenimenti del XX secolo, racconta per la Porta di Vetro, la giornata di ieri, il 25 aprile portoghese, i cinquant'anni dalla Rivoluzione dei Garofani che diede la libertà al Portogallo, dopo una dittatura, prima sotto Salazar, poi con Caetano, che aveva preso le mosse dal colpo di Stato del 1926.


La memoria sugli eventi del 25 aprile 1974 è ancora viva fra la gente della capitale lusitana. E la documentazione storica che i portoghesi hanno raccolto è ampia e articolata. Il nostro punto di partenza per raccontare queste giornate è il Museo dell’Ajube, centro di documentazione della Resistenza e della libertà. Già da domenica scorsa qui iniziavano i preparativi: il Museo si è aperto alla cittadinanza, permettendo a tutti di entrare gratuitamente, partecipare alla creazione di un grande murales e di un enorme collage, dove ciascuno ha potuto declinare con parole e immagini la propria idea di rivoluzione e la propria interpretazione del 25 aprile.




Da subito è apparso evidente lo stretto rapporto che lega per i portoghesi la rivoluzione promossa dai capitani dell’esercito e dal popolo con la conclusione dell’esperienza coloniale, che vide fin troppe vittime tra i portoghesi e tra gli abitanti dei Paesi colonizzati. Non è un caso se durante la festa abbiamo potuto ballare, insieme ai moltissimi partecipanti, sulle note della musica africana e caraibica figlia di quelle terre: Brasile, Guinea Bissau, Capoverde, Angola, Mozambico.



Camminando per la città in questi giorni tutto ci parlava di quel grande evento che vide confluire a Lisbona, da tutta Europa, i giovani di quella stagione: i manifesti affissi ai muri, l’immagine del garofano presente in mille forme in mille luoghi, distribuito per le strade ed esibito con orgoglio fra i capelli delle ragazze e sulle giacche di giovani e di anziani.



Al Mercato del Forno del Tjolo sono esposti in una grande sala i documenti dei primi dieci giorni successivi al 25 aprile 1974 nella mostra “I dieci giorni che fecero tremare il Portogallo”, che accoglie soltanto una piccola parte del materiale raccolto in un luogo per certi tratti simile al nostro Archivio Roberto Marini: l’Archivio privato di José Pacheco Pereira.


Qui abbiamo potuto leggere moltissimi quotidiani e pubblicazioni originali, compresa quella Repùblica che primo fra tutti i giornali annunciò la rivoluzione e che ispirò a Eugenio Scalfari il titolo del nuovo quotidiano italiano, La Repubblica, uscito nel gennaio del 1976.

Torniamo all’Aljube nei giorni successivi, carichi di suggestioni, per scoprire con calma i tre piani dell’ex prigione dei prigionieri politici di Salazar, oggi trasformati in sale che ospitano una grande raccolta di materiali multimediali in un’esposizione permanente aperta anche alle scuole. Abbiamo assistito alla visita di una scolaresca di bambini ai quali è stato proposto un laboratorio incentrato sulle due parole chiave “dittatura” e “colonizzazione”: l’esposizione infatti parte dalla narrazione del regime di Salazar, dichiaratamente ispirato al fascismo italiano, e prosegue fra testimonianze dei torturati, visita delle celle di isolamento, disamina dei documenti ciclostilati e distribuiti dalle principali organizzazioni politiche che agivano in clandestinità, per finire in un’ampia sala che raccoglie pannelli illustrativi sulla storia delle colonie.

Il giorno successivo il collegamento di idee ci porta a Belem, di fronte al famoso Monumento alle scoperte, progettato con il contributo fra gli altri di Telmo Cottinelli, un architetto fascista italiano. È un piacere scoprire che in questo periodo le sale interne del monumento ospitano una mostra sull’immigrazione delle famiglie delle colonie africane in Portogallo.

Poche fermate del tram in direzione centro città e si incontra l’atelier della Cordoaria, dove resteranno esposti fino a maggio centinaia di scatti del più importante fotografo portoghese, Edoardo Gageiro. Il posto d’onore è riservato alle immagini scattate il 25 aprile 1974, fra le quali la celeberrima fotografia dei militari con il garofano infilato nella canna del fucile. La giornata della vigilia prosegue con la nostra partecipazione alla festa popolare organizzata dalle associazioni politiche e sportive e dalle scuole di Graçia, in mezzo a moltissime persone di ogni età, cibi preparati in casa, banchetti di garofani confezionati all’uncinetto dalle nonne del quartiere e ai canti del coro dei bambini delle scuole primarie. Da Graçia ci spostiamo al Largo do Carmo, dove  nel giorno della Rivoluzione si era rifugiato il Primo Ministro Marcelo Caetano, che fu costretto a consegnare il Governo a Antonio de Spinola, uno tra i militari che avevano guidato la Rivoluzione dei capitani.



Troviamo la piazza gremita, stracolma di giovani di varie nazionalità. Proprio lì ogni anno si riunisce in questo giorno il Bloco de esquerda, ma quest’anno il nuovo Sindaco di destra della capitale aveva negato l’uso della piazza. I giovani se la sono ripresa pacificamente, con canti militanti e bicchieri di sangria alla mano hanno tirato tardi nella notte: una festa gioiosa, idealmente collegata a quella ufficiale organizzata a Praça do Comércio, poche centinaia di metri più sotto, anch’essa traboccante di lisbonesi di ogni età e idea politica. Questa festa del 25 aprile portoghese infatti, come ben si comprende dalla lettura dei quotidiani è davvero patrimonio di tutti i gruppi politici e classi sociali, un evento che appare senza dubbio inclusivo sotto la bandiera dell’antifascismo che lascia fuori soltanto Chega, il partito di estrema destra che ha preso il diciotto per cento alle ultime elezioni. Lo slogan gridato in questi giorni ovunque da grandi e piccini è “25 de abril sempre! Fascismo nunca máis”.



Tutto quello che abbiamo raccontato finora diventa tuttavia cosa da nulla di fronte alla imponente manifestazione che è partita ieri, 25 aprile, da Praça Marquês de Pombal, considerata anche dai portoghesi con cui abbiamo parlato “la più grande manifestazione di sempre”. Non sappiamo quante decine di migliaia di persone fossimo, perché eravamo in mezzo ad una folla di cui non vedevamo né l’inizio né la fine. Un corteo che a partire dalle due del pomeriggio si è gonfiato sempre più, fino a riempire all’inverosimile l’Avenida da Libertade, composto da tutte le categorie di lavoratori e cittadini: sindacati, partiti politici, associazioni, gruppi di donne, migranti, scuole, operatori della cultura, della sanità, dei trasporti, associazioni per la Palestina, gruppi per l’inclusione della popolazione rom e sinta, militanti per il diritto alla casa, pacifisti, antirazzisti, associazioni Lgbt e migliaia e migliaia di donne, uomini e bambini, in mezzo a uno sventolare di bandiere rosse e garofani stretti nei pugni alzati.



Prima dell’avvio, quando la piazza si stava velocemente riempiendo, c’è stato un colpo di scena: più o meno un centinaio di militanti di estrema destra, sventolando bandiere nere, hanno tentato di avvicinarsi, subito bloccati da una folla di persone, uomini, ragazze, bambini in braccio alle mamme, che si sono ammassati di fronte al gruppo di militanti di estrema destra facendo con i loro corpi da barriera, intonando slogan antifascisti e brandendo di fronte ai militanti di destra i loro garofani. Accompagnati dai cellulari della polizia, che era accorsa nel frattempo, sono stati allontanati e il corteo si è ricomposto. Commovente la partenza, scandita dalle note di Grândola, vila morena, cantata in un immenso coro con grande partecipazione da tutti i manifestanti. Si tratta della canzone che diede il via alla Rivoluzione dei garofani e che è diventata il simbolo di questa giornata.



All’arrivo la Praça Dom Pedro IV non è riuscita ad accogliere tutte le persone che non finivano di confluire al suo interno e che sono dovute rimanere ferme per ore nelle vie limitrofe. Sul palco sono saliti tutti i rappresentanti dei partiti e delle associazioni antifasciste, proponendo alcuni interventi davvero coinvolgenti, incentrati su un programma sociale di grande spessore e rivolto al futuro: la richiesta rivolta al nuovo Governo di centro destra, privo peraltro di una maggioranza stabile e formatosi senza la partecipazione di Chega, è stata quella di presidiare il lavoro e i salari, di prestare attenzione alle minoranze, di promuovere la pace in tutte le sue forme, di promuovere i diritti delle donne e dei cittadini più fragili, di facilitare l’accesso all’istruzione, di garantire il diritto alla casa per tutti, di tenere come faro per ogni deliberazione la base fondamentale costituita dall’antifascismo. Abbiamo salutato questa giornata straordinaria portando con noi l’eco di Grândola, vila morena di nuovo cantata all’unisono che, come un cerchio, ha chiuso la manifestazione.


 

 

 

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