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Effetti collaterali inattesi del sostegno militare all'Ucraina

Aggiornamento: 7 apr 2023

di Michele Corrado*


Il pressante sostegno militare all'Ucraina, richiesto ai Paesi occidentali aderenti alla Nato dal presidente Volodymyr Zelensky all'indomani dell'invasione russa, si sta rivelando una inattesa cartina di tornasole delle scelte politiche militari-industriali al ribasso di quegli Stati – in particolare l’Italia - che dalla fine della Guerra fredda hanno ridotto le produzioni d'armi prioritarie per mantenere un adeguato standard difensivo. L'analisi di per sé non vuole entrare nel merito di quelle scelte tra l'altro complesse e con implicazioni geopolitiche non sempre così limpide che si sono sovrapposte a più strati nell'arco di oltre settant'anni, cioè dalla costituzione dell'Alleanza Atlantica. L'analisi semmai tende a mettere in luce un fenomeno che proprio dalla nascita della Nato (4 aprile 1949) non si era mai verificato: la progressiva riduzione dei livelli di scorte di munizioni, unita all’esaurimento di alcune tipologie di sistemi d’arma (controcarri, mortai, artiglierie) che hanno preso la strada dell'Ucraina.

Una premessa di carattere tecnico non eludibile: il bilancio di un esercito è formato da tre voci di spesa fondamentali che rispondono al personale, all’ammodernamento e all’esercizio ed è calibrato sugli standard del mantenimento in tempo di pace. Ma a nessuno sfugge, e tantomeno all’opinione pubblica, che da un anno si è in operazioni di guerra guerreggiata che nei fatti limitano le disponibilità per i settori dell’ammodernamento e dell’esercizio. Ultimo, ma non meno importante, non sfugge a nessuno che se non si possono comprimere le spese per il personale ed il mantenimento delle infrastrutture, altrettanto si devono elevare immediatamente le disponibilità finanziarie per gli eserciti Nato europei, compreso quello italiano, per mantenere le attività addestrative e conservare le loro capacità di deterrenza, pena la decadenza d’impiego in un brevissimo tempo.

In tutto questo, sarebbe sbagliato scorgervi una mera vocazione bellicistica. L’addestramento e l’ammodernamento costituiscono i due pilastri (oltre alle risorse umane) sui quali si fonda un esercito. Tuttavia un esercito che non si addestra consuma solo risorse senza produrre il necessario output: la sicurezza, che deriva dal suo potere di deterrenza. Più ci si addestra, utilizzando materiali avanzati, più si è in grado di esprimere prontezza e capacità d’impiego. Che lo si voglia o no, questa caratteristica rappresenta la ragion d’essere di un esercito permanente che non ha alternative. A patto di voler rimanere ciò che si è.

In tale contesto, la decisione della Germania di destinare cospicui fondi aggiuntivi al Settore Difesa assume un significato che trascende l’allarmistico giudizio di “riarmo tedesco”. Al contrario, denota la comprensione dello scenario geopolitico che si è delineato con la guerra in Ucraina e la lungimiranza di quelli che saranno i nuovi assetti con una pace che ci si augura possa arrivare al più presto. In qualunque caso, nell’interesse della sicurezza del Vecchio continente – e questo apre anche nuove prospettive di Bruxelles per una cabina unica di regia di un esercito comune – non è ipotizzabile con gli attuali investimenti finanziari sostenere l’Ucraina e conservare gli standard di difesa collettivi. Argomento forse tabù, ma ineludibile per gli Stati e per l’opinione pubblica perché, pur riaffermando i sacri principi della pace, fermare o rallentare le attività di addestramento e mantenimento delle forze armate è semplice; riportare a standard specifici (Nato), dopo un periodo di “attività minima o non attività”, è oltremodo costoso in termini economici e di tempo.

Del resto, come detto sopra, lo svuotamento degli arsenali militari non è un elemento secondario, ma di contrasto, se declinato sull'efficienza di un esercito, di cui chi governa deve avere piena consapevolezza, insieme all'opinione pubblica che sarà chiamata a esprimersi sull'utilizzo delle risorse finanziarie per garantirsi la sicurezza. Nel contempo, l'attuale e critica situazione potrebbe diventare un stimolo vitale per i Paesi europei, anche in concorso con la Nato, per sviluppare una politica industriale-militare globale, da cui far discendere le mosse di una comune politica estera. Un rovesciamento della prassi abituale, se vogliamo, ma non sarebbe la prima volta che le innovazioni militari (internet, in primis) danno impulso a sofisticate architetture politiche.

Digressioni politiche-strategiche a parte, riportiamo in primo piano la questione contingente degli armamenti. Pur nel ripudio della guerra, art. 11 della nostra Costituzione, l’Italia è un paese strutturalmente inserito in un sistema di difesa occidentale con l’obbligo di mantenere piena disponibilità delle risorse militari e logistiche propedeutiche all’impiego. All’opposto, l'Italia e nel loro insieme gli eserciti dell’Unione Europea denunciano un quadro di preoccupante inefficienza per la mancata riparazione o manutenzione di mezzi e materiali fondamentali per il mantenimento a regime dei vari reparti. In altre parole, le forze armate dei Paesi aderenti alla Nato hanno messo a disposizione le loro disponibilità logistiche all’Ucraina, senza si sia adeguata la produzione ai nuovi ed inaspettati consumi nel teatro di guerra.

Il che solleva, infine, una serie di doverosi interrogativi sulla gestione dei rapporti con il governo ucraino e sul sostegno on demand di armi e sussistenza a Kiev. Una gestione comprensibile sul piano morale a favore di un Paese aggredito - per quanto né membro dell'Unione Europea, né della Nato - cui però non ha corrisposto una adeguata pianificazione industriale degli armamenti per sottrarsi agli effetti collaterali sui livelli di sicurezza, a ciò che verrà, anche con un occhio gettato al di là dell'Atlantico, a che cosa potrebbe accadere tra un anno con le elezioni presidenziali Usa.


*Col. in Ausiliaria Esercito Italiano



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