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Dietro il dissidio Macron-Meloni: il made in Italy fantasma delle armi

di Michele Corrado*

La settimana scorsa a Bruxelles è andato in scena l'ultimo atto delle frizioni di buon vicinato che di recente accompagnano i rapporti tra Roma e Parigi. Com'è noto, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha vissuto come uno sgarbo politico-diplomatico l'incontro che il presidente Emmanuel Macron ha organizzato all'Eliseo con il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, di ritorno da Londra, per discutere di armamenti insieme con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Ora, se ci può essere del vero e del giusto nella reazione di palazzo Chigi, è necessario, parafrasando Rossini, comprendere se il vero è giusto e se il giusto è soprattutto vero.

Il "tour delle armi" di Zelensky

Partiamo dal cosiddetto "tour delle armi" compiuto in Europa, ultima tappa a Bruxelles, del presidente Zelensky, giro delle capitali che deriva essenzialmente da un bisogno primario: la necessità del suo Paese di sostenere l’urto dell'invasione delle Forze russe, dal momento che l'Ucraina non dispone di una propria industria della Difesa. Infatti, per equipaggiare un esercito che conduce operazioni convenzionali con numeri elevati di truppe (almeno duecentomila effettivi sul terreno, in questo caso), si deve possedere un retroterra industriale militare di prima grandezza. Che Kiev non dispone. Da qui la supplenza dell’Occidente europeo e della Nato, soggetti che non temono rivali per capacità ed efficienza militari avanzate, e che con grande generosità hanno deciso di sostenere dal 24 febbraio, inizio della guerra, e molto oltre le buone intenzioni, l'urto della Russia.

Dei Paesi europei e dell'Alleanza Atlantica, però, solo alcuni sono produttori di mezzi ed equipaggiamenti fondamentali per un esercito di terra; gli altri sono soltanto “equipaggiati” dai pochi Paesi produttori. A parte gli Stati Uniti, che posseggono una industria della difesa che fuori da ogni ipocrisia è uno Stato nello Stato, gli unici altri - per qualità e quantità - sono la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Per qualità e quantità s'intende la capacità di produrre carri pesanti da battaglia, artiglierie di ultima generazione, carri corazzati per trasporto truppe (fanteria), elicotteri d’attacco. Oltre a, naturalmente, mortai di ultima generazione, missili controcarro e tutti i sistemi d’arma per la protezione delle truppe a terra, dall’offesa missilistica ai droni armati nello loro spazio aereo sovrastante.

La forza produttiva in Europa di Francia e Germania

Questa è la base perché, anche disponendo di tutto il resto, se non si ha la capacità di operare con truppe a terra in sicurezza, cioè proteggendole dall’offesa condotta attraverso lo spazio aereo dall’avversario, non si ottiene alcun risultato concreto. Solo occupando fisicamente un territorio e controllandolo si può affermare che quel territorio è in mio possesso; tutte le altre opzioni (controllo aereo, erogazione di fuoco a distanza, negazione all’avversario della sua disponibilità, ecc.), possono al massimo fare in modo che quel territorio sia una terra di mezzo, né dell'uno, né dell'altro, dei combattenti.

Quindi l'avere tecnologia e capacità per la costruzione di simili basilari sistemi d’arma determina un potere assoluto su tutti gli altri che tali possibilità non hanno (o non hanno sviluppato). E qui si arriva alla condizione del nostro Paese con cui si passa dall'analisi militare per arrivare a quella geopolitica e quindi, comprendere indirettamente i ruoli di Francia e Germania da una parte, e l'Italia dall'altra, nonostante non vi siano enormi differenze di PIL. L’Italia, infatti, sotto il profilo degli armamenti si è configurata progressivamente come un ibrido, ossia potrebbe, ma non è. L’industria della Difesa nazionale, anche se fortemente penalizzata negli ultimi decenni, ha in nuce enormi possibilità. Impianti, manodopera qualificata e ricerca tecnologica hanno permesso di produrre carri, carri corazzati per le fanterie, elicotteri d’attacco e artiglierie, ma con tempi produttivi che si sono sempre rivelati o a singhiozzo o lunghissimi e per quantitativi minimi, quasi vi fosse uno sforzo controvoglia.


Le forniture italiane a Kiev

Questa situazione spiega, in prima battuta, meglio di ogni altra considerazione e commento, per quale motivo gli ucraini non chiedano all'Italia con forza quanto è stato richiesto ad americani, inglesi, francesi e tedeschi. Vero è che i primi tre Paesi sono potenze nucleari, e ciò ci porta a ricordare che debbono finanziare e mantenere due linee di industria per la Difesa, quella convenzionale e quella nucleare, ma è altrettanto vero che un apparato industriale di sistemi d'arma per la Difesa non si crea in settimane e quei grandi Paesi hanno tradizioni secolari. Gli americani, poi, arrivati per ultimi, sono diventati ampiamente primi.

Questo ci aiuta, in seconda battuta, a ricordare che se non si ha la possibilità, bisogna accontentarsi dei risultati modesti delle relazioni sul piano politico, tanto più che se si è rinunciato (legittimamente, nel rispetto delle decisioni parlamentari e dei governi) alle proprie potenzialità - un dato oggettivo - la scelta è da addebitare esclusivamente al nostro Paese, non a chi ha percorso un'altra strada. Ciò non significa che si propone un immediato riarmo dell'Italia, semmai ci si propone di collocare le riflessioni dei cittadini all'interno di un quadro corretto in cui si sviluppano gli eventi per evitare forzature e reazioni emotive, come le ultime...

Tornado della Luftwaffe

Dunque, la crisi ucraina sta portando alla luce aspetti dimenticati, ma diventati di estrema attualità, che troviamo impossibili (secondo la nostra ottica) comprendere e che ci portano a scandalizzarci per comportamenti ritenuti offensivi nell'agenda internazionale. Ora, per completezza d'informazione, va ricordato che il Presidente ucraino si è incontrato con gli omologhi francese e tedesco perché dal primo vuole jet da combattimento (i Mirage 2000 ritirati dal servizio) e dal secondo i carri pesanti da battaglia (Leopard2) e, desiderio del presidente Zelensky riportato da più organi di stampa, anche gli aerei caccia multiruolo Tornado che la Germania sostituirà con gli F-35, forniture che l'Italia non ha da cedere. Le armi che i governi italiani - da Draghi a Meloni - hanno autorizzato verso Kiev sono soltanto mezzi (pochi) di artiglieria e comune “materiale di consumo” (munizionamenti di vario genere ed equipaggiamenti individuali, principalmente).

Del resto, nel tempo e progressivamente. l'Italia ha deciso di ridimensionare l'industria della Difesa. Lo ha fatto per più motivi, su cui non ci possiamo ora soffermare, anche quando era plateale che lo spazio lasciato da un produttore veniva immediatamente coperto da altri. Ma lo ha fatto partendo dal postulato che produrre qualunque tipologia di armamenti sia negativo e riprovevole, trascurando il rovescio della medaglia, cioè che il novanta per cento del nostro livello tecnologico globale è di ascendenza militare e che storicamente abbiamo dimostrato di avere notevoli attitudini in questo settore.

Quindi ci ritroviamo forse a “scoprire” (la percezione non è ancora ben compresa nemmeno a livello politico), che se si vuole avere voce in certi ambiti internazionali (che sono poi quelli che contano), bisogna possedere certe capacità che noi abbiamo nel tempo accuratamente e volutamente dimenticato e nella pratica pressoché smantellato. Ora, è altrettanto legittimo proseguire su questa strada, ma si deve altresì avere piena consapevolezza che piccate reazioni ci espongono soltanto al rischio di fare soltanto la figura dei permalosi ad oltranza.


*Col. in Ausiliaria Esercito Italiano

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