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Deposito nazionale scorie nucleari: sindaco di Trino nella bufera

di Alessandro Bizjak*


Come un fiume carsico, emerge periodicamente nel dibattito politico regionale e nazionale, il tema della localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. Oggi però si avvicina probabilmente un punto di svolta, a mio parere negativo. In principio fu Scanzano: nel 2003 il Governo Berlusconi identificò la zona del comune lucano, in provincia di Matera (non distante dal Centro ricerche Enea di Trisaia), come idonea ad ospitare il materiale nucleare; proteste energiche e compatte dell’intera comunità locale fecero ingranare la retromarcia e l’ipotesi venne sostanzialmente accantonata.


Individuate 51 aree in sette regioni

In tempi più recenti, sulla base di quanto stabilito dall’art. 27 del decreto legislativo 15 febbraio 2010 n. 31  è stata predisposta da SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari ) con successive verifiche e validazioni effettuate da ISPRA  (Istituto Superiore per la Ricerca e Protezione Ambientale ) la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) e successivamente la Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI) resa pubblica il 13 dicembre 2023.

Nel documento sono state individuate 51 aree  in 7 regioni, all’interno delle quali al termine di un lungo processo, dovrebbe essere prescelto un unico sito come sede di stoccaggio definitivo. In Piemonte ne sono stati presi in considerazione 8, tutti in provincia di Alessandria: Bosco Marengo, Novi Ligure, Alessandria, Oviglio, Quargnento, Castelnuovo Bormida, Sezzadio, Fubine Monferrato. Occorre ricordare che l’attività delle centrali nucleari in Italia è iniziata nel 1963 e terminata nel 1990 a seguito del referendum abrogativo svoltosi nel 1987. 

Secondo i dati aggiornati al 31 dicembre 2022 dell’ultimo report prodotto dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), «in Piemonte ci sono 5.923 metri cubi di rifiuti radioattivi, il 19% di tutti quelli presenti in Italia (31.159 totali), con un’attività radioattiva complessiva di 1.977.410 GBq (Giga Becquerel) pari al 72,5% di quella complessiva dei rifiuti stoccati in Italia (2.726.354 GBq). I rifiuti radioattivi in Piemonte sono stoccati in 6 siti: il deposito di Bosco Marengo (590 mc per 35 GBq), l’impianto EUREX di Saluggia (2.885 mc per 1.966.552 GBq), il deposito Avogadro di Saluggia (87 mc per 398 GBq), il deposito LivaNova di Saluggia (571 mc per 294 GBq), Campoverde a Tortona (279 mc e 75 GBq) e l’ex centrale di Trino Vercellese (1.511 mc per 10.055 GBq)».[1]

A fronte di questo quadro e del percorso sviluppato nel corso degli anni, il Governo in modo perlomeno singolare ha inserito nel cosiddetto Decreto Energia (DL 181 del 9 dicembre 2023) recentemente approvato dalla Camera dei Deputati, la possibilità per i Comuni non inseriti nella CNAI di autocandidarsi ad ospitare il deposito.


Le proteste in provincia di Vercelli

Il Sindaco di Trino Vercellese, Daniele Pane, con particolare tempismo ha avanzato la candidatura, sollevando critiche e malumori  scontati, da parte delle associazioni ambientaliste, agricole e delle forze politiche di centrosinistra, forse meno previsti dai suoi stessi compagni di partito. In particolare, il Presidente della Provincia, Davide Gilardino, appartenente anch’egli a Fdi si è espresso contro la proposta, così come il Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, della medesima coalizione, ha affermato di non volere depositi sul territorio. Si è dunque aperta nel centrodestra piemontese e non solo, una evidente spaccatura  su una questione rilevante  anche in vista delle prossime elezioni regionali .

Tuttavia ciò che interessa maggiormente i cittadini è il paventato rischio di trovarsi nelle vicinanze il luogo di stoccaggio definitivo del materiale nucleare, ipotecando il futuro di quei territori per alcune centinaia di anni , dopo che tutte le verifiche tecniche hanno stabilito l’inidoneità allo scopo. L’insediamento di una infrastruttura del genere nel Trinese presenterebbe altissime criticità dal punto di vista ambientale e sanitario, tanto da essere stata esclusa da tutte le valutazioni e analisi da parte degli enti preposti.

Si è molto discusso a ragione, in anni recenti, della perdita del primato di una politica indebolita, con partiti fluidi a fronte delle grandi concentrazioni economiche che condizionano scelte ed indirizzano lo sviluppo. In questa circostanza il problema si pone esattamente al contrario: possono i decisori politici non tenere nella massima considerazione tutti gli aspetti di merito rilevanti, per l’assunzione di una decisione così impattante.

Molto dipenderà dalla capacità di reazione democratica della popolazione e delle istituzioni locali, come avvenne in Basilicata. A tal proposito si è già costituito un comitato a cui stanno pervenendo molte adesioni.

Ora, non si tratta di essere portatori delle sindrome di NIMBY (non nel mio cortile), piuttosto di affermare che non si possono cambiare in questo modo le regole in corsa e che non tutto può essere compensabile. Non si possono dare risposte semplici a domande complesse e soprattutto non si debbono trovare scorciatoie chiudendo il futuro di interi territori. Come ci ricordava spesso Guido Bodrato, ricordato nei giorni scorsi dalla Fondazione Donat-Cattin, “non c’è politica senza cercare il futuro”.

 

*già Consigliere della Regione Piemonte e della Provincia di Vercelli


Note

 

[1] Fonte Legambiente



 


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