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Carità, tasse, espropri e loro utilizzo

Aggiornamento: 23 nov 2023

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

È inutile: su come utilizzare efficacemente le risorse disponibili non se ne parla. La classe dirigente attualmente al potere nei Paesi occidentali si è formata prevalentemente su questioni giuridiche, ed anche oggi, di fronte ad un’emergenza che dovrebbe obbligare a rivedere i parametri di riferimento per adattarli alle condizioni assolutamente nuove, si riscoprono dibattiti dal sapore antico. Grandi elemosinieri, carità, contributi a fondo perduto, patrimoniale, tasse…, terminologie che, sotto il peso dell’emergenza, sono tornate prepotentemente d’attualità e da cui non si può sfuggire, anche se è più facile parlare sul come far aumentare i contributi. Gli aiuti, indispensabili per chi oggi versa in gravissime condizioni, si possono acquisire in forma volontaria o forzata. Le prime non si possono considerare un riduttivo e accessorio concetto di elemosina perché, sia per valore monetario, sia per slancio filantropico, sono consistenti. Le donazioni elargite dai grandi gruppi industriali (e dai vari Paperoni) e da una miriade di persone che con piccole testimonianze di solidarietà non solo in denaro, ma con tanti piccoli gesti, hanno testimoniato notevole sensibilità. Un esempio per tutti, sia i grandi gruppi dolciari, che le pizzerie locali, si sono impegnati a fornire il loro affetto tangibile a chi lavorava senza tregua in frontiera. A loro, facilmente identificabili con le tenerissime immagini del personale sanitario con in mano uova e colombe pasquali, si sono aggiunte altre testimonianze, meno facili da fotografare, ma altrettanto utili. Certamente non tutti si sono impegnati in questa sottoscrizione (in passato si sarebbe detto “questua”), per cui la storia ha insegnato come sia indispensabile per il sistema prevedere un prelievo fiscale forzoso che garantisca sufficienti risorse, recuperate seguendo il criterio di equo sacrificio. Ulteriori forme di acquisizioni di risorse sono possibili fino al punto di prevedere l’esproprio per pubblica utilità, ma la pretesa che qualcuno debba provvedere ai bisogni di altri, sacrificando il bene di terzi, può nascondere pericolose insidie. Sacrosanti gli aiuti alle imprese in difficoltà non solo per i singoli interessati (imprenditori, dipendenti e fornitori), ma perché la nostra economia si basa anche sulla loro esistenza, però il pretendere di salvare anche l’inefficiente può non risultare lungimirante. Le cronache degli ultimi anni hanno evidenziato un’infinità di sprechi (questi sì in grado di attirare episodicamente l’attenzione) e sperperi di denaro pubblico che, parzialmente scusabili di fronte a situazioni non conosciute, non possono essere perpetrate in condizioni di normalità. La rivoluzione imposta dai coronavirus impone di gerarchizzare e non di permettere un assalto indiscriminato alla famosa “diligenza” per accaparrarsi qualche contributo a fondo perduto. Rispolveriamo dunque i cosiddetti merit good e merit want, i beni e i bisogni meritori che dovranno essere privilegiati nelle programmazioni economico sociali per il cui soddisfacimento lo Stato e tutti gli altri soggetti pubblici, hanno il dovere di esercitare un ruolo propulsivo, sovvenzionandone la diffusione senza lesinare finanziamenti, ma soprattutto creando le condizioni operative affinché si possano sviluppare senza ostacoli di alcun genere. Se è immediato dover dotare i soggetti propulsori di adeguate risorse, più complesso è definire uno scenario in cui si possano amplificare tutte le loro potenzialità. La tutela del benessere, se lasciata al libero mercato, potrebbe infatti riguardare soltanto pochi individui a causa degli alti prezzi dei beni e dei servizi atti a soddisfarla. Per motivi sociali e morali, oltre che politici, le autorità pubbliche devono esercitare una funzione-guida nella scelta dei consumi da privilegiare o da contrastare e prima ancora agire sui bisogni che condizionano la domanda. Non solo è importante offrire questi beni e servizi a prezzi accettabili (eventualmente anche in forma gratuita), ma occorre assicurarsi anche che questi vengano effettivamente consumati per raggiungere gli obiettivi richiesti dalla collettività. La maggiore disponibilità d’indebitamento data dai provvedimenti post coronavirus deve dare attuazione alla “rivoluzione non voluta”, eliminando le sovrastrutture che hanno spesso ostacolato la tempestività decisionale, per individuare un ordine, inteso sia come ordine delle parti di un tutto (cioè di come le parti sono ordinate tra loro – visione statica), sia come ordine reciproco rivolto ad un fine (visione dinamica). Quanto destinare alla ricostruzione è una conditio sine qua non per organizzare la ripresa (e di questo si sono finalmente resi conto anche in sede europea), ma deve seguire un dibattito su come utilizzare le risorse resesi disponibili, abbandonando le logiche che spingono a mantenere rendite di posizione, per perseguire con maggiore attenzione l’interesse comune, altrimenti si corre il rischio che la popolazione si rivolga ad altre forme d’intervento, non sempre lecite. L’eccessivo interventismo rischia di far sopravvivere l’inefficiente (e l’Italia, di sovrastrutture arrugginite, ne è piena) senza dare possibilità di far emergere nuove forme organizzative forgiatesi durante il periodo di crisi, ma perché ciò sia possibile occorrono idee e skill per dar fiato alle soluzioni innovative. Si tratta cioè di stabilire un mix di attenzioni che garantisca sufficiente equilibrio nel perseguire gli obiettivi prioritari, tramite scelte razionali in cui sono cointeressate le scienze umanistiche (etica, filosofia, psicologia e sociologia), le tecniche e le scienze economiche. Il tentativo di gerarchizzare gli interventi inevitabilmente produrrà una selezione che avvantaggia e/o svantaggia determinate aspettative, ma la cui non risoluzione rischia di compromettere le potenzialità di sopravvivenza. Le scelte allocative, indipendentemente da quante risorse saranno destinate, comunque dovranno essere compiute, ma sarà proprio dalle modalità con cui verranno effettuate che dipenderà il futuro delle nostre società.


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