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Autonomia differenziata: visioni differenti e antitetiche del Paese


Con 110 voti a favore, 64 contrari e tre astenuti, il Senato ha approvato ieri, 23 gennaio, il DDL per l’attuazione dell’Autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Il provvedimento dovrà passare ora al voto della Camera. Il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, esponente di primo piano della Lega, ha affermato che con “l’approvazione dell’autonomia si è compiuto un ulteriore passo in avanti verso un risultato storico atteso da troppo tempo”.

Di opinione diversa le opposizioni. Per favorire la comprensione della discussione in corso, riceviamo a pubblichiamo l'intervento del senatore del Pd Andrea Giorgis, che venerdì 26 prossimo alle 17 parteciperà a un incontro presso la Sala Colonne del Municipio di Torino dal titolo ""Fisco e Autonomia differenziata: il conflitto delle tasse: chi ha di più paga di più?". Organizzato da quattro sezioni dell'Anpi, il dibattito sarà aperto dall'intervento di Vincenzo Visco, economista, già ministro, oggi presidente del Centro Studi Nens.


Voglio iniziare questo intervento, riconoscendo al Presidente Balboni di aver cercato, in diverse/varie occasioni, di assicurare alla commissione le condizioni per un confronto approfondito, fondato su adeguati elementi di conoscenza. Devo però anche constatare come questo tentativo del Presidente, su questioni centrali di metodo e di merito, abbia avuto la peggio, e alla fine il DDL che stiamo discutendo, a prima firma del Ministro Calderoli, presenti contraddizioni e lacune molto serie, oltre a scelte politiche a nostro avviso dannose per l’intero Paese.

Partiamo dalle questioni di metodo (o procedura), che inevitabilmente si sono ripercosse sul merito. Il ddl del Governo è stato collegato alla legge di Bilancio, nonostante preveda espressamente, all’art. 8 primo comma, che “dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”

Perché dunque il collegamento? Una risposta purtroppo non l’abbiamo avuta, né dal Governo (il Ministro Giorgetti si è negato e alla fine non lo abbiamo potuto audire), né dalla Presidenza del Senato, né è stata convocata sul punto una Giunta per il Regolamento come pure abbiamo chiesto insieme a tutte le altre opposizioni. Da tale collegamento - onorevoli Colleghi - non deriva solo l’aggiramento del divieto di trattazione durante la sessione di bilancio, ma una significativa limitazione del confronto:

 a) per i tempi, che sono stati contingentati;

 b) e per il merito che è stato circoscritto - attraverso un richiamo, piuttosto disinvolto, all’art.81 della Cost. - da parte della Commissione Bilancio che ha dichiarato inammissibili emendamenti (come il 1.74, 1.89, o gli emendamenti 1.63, 1.64 e 1.65) che cercavano di affrontare una questione centrale: quella di subordinare l’eventuale devoluzione di competenze legislative a una o più Regioni alla determinazione ed effettiva attuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che, come prescrive la nostra Costituzione, devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Queste inammissibilità hanno impedito alla Commissione affari costituzionali di discutere e valutare nel merito tali emendamenti, e soprattutto hanno impedito che fosse possibile ripresentarli in Aula, accompagnandoli magari da adeguate ipotesi di copertura.

Anche se erano emendamenti che – a nostro avviso - non dovevano essere dichiarati inammissibili, ma in ipotesi improcedibili perché ordinamentali (non comportanti cioè, in quanto tali,  alcun onere per la finanza pubblica), le decisioni di inammissibilità della Commissione Bilancio hanno fatto un po’ chiarezza e hanno confermato – ciò che da tempo stiamo dicendo -  e cioè che A) per attuare i Lep in tutto il Paese occorrono nuove risorse, e (hanno confermato) che  B) il Governo e la maggioranza che lo sostiene non hanno alcuna intenzione di reperire tali risorse, prima di procedere a trasferire ad alcune regioni ulteriori competenze legislative.


Ancora sul metodo e sulla procedura seguita.

Il DDl, a prima firma del Ministro Calderoli, è una legge ordinaria la cui forza vincolante sulle leggi che daranno attuazione alle eventuali intese è quantomeno dubbia:

perché una legge ordinaria, com’è noto, non è solitamente in grado di vincolare una successiva legge ordinaria, quale è quella che recepisce le intese (che deve peraltro essere approvata a maggioranza qualificata).

Non sarebbe stato dunque più ragionevole ed efficace definire i presupposti e le modalità per l’attuazione dell’art.116 con legge costituzionale, come pure abbiamo proposto e hanno proposto i cittadini con una legge di iniziativa popolare?

 E ciò tanto più se si ritiene – come anche diversi esponenti della maggioranza paiono ritenere (insieme alla dottrina pressoché unanime) - che l’art.116 presenti alcune criticità e sollevi dubbi interpretativi e di coordinamento con le altre disposizioni del Titolo V che sarebbe comunque necessario risolvere.

Se anche il Ministro Calderoli ritiene che sarebbe ad esempio irragionevole attribuire a una o più Regioni la competenza legislativa esclusiva a determinare le “norme generali sull’istruzione”, e, aggiungiamo noi con coloro che abbiamo audito, se sarebbe altrettanto irragionevole e controproducente attribuire a una o più regioni la competenza esclusiva a disciplinare la “produzione e distribuzione nazionale dell’energia” o le “grandi reti di trasporto e navigazione”, o il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, o la “tutela e sicurezza del lavoro”, o la “tutela della salute”… perché non intervenire subito sull’art.116 ed escludere tali eventualità? 

Pensiamo agli effetti che avrebbe sul nostro sistema produttivo e industriale avere 20 o 15 discipline diverse di queste materie.

E per quanto riguarda la tutela della salute pensiamo ai danni che arreca ai cittadini e ai bilanci delle regioni la crescente mobilità dei pazienti, dovuta all’impoverimento delle strutture pubbliche e alle loro eccessive differenziazioni.

 Vi abbiamo fatto una proposta molto semplice: correggiamo insieme il Titolo V, o almeno formalizziamo una sua interpretazione ragionevole, che ad esempio escluda alcune differenziazioni nelle materie in cui prevalgono fondamentali esigenze di uniformità, e, al contempo, chiarisca che, in relazione alle altre materie, si possono trasferire solo specifiche funzioni e solo sulla base di un procedimento rigoroso di verifica degli effetti.   


Il ruolo disatteso del Clep

E invece cosa è accaduto? Che avete deciso di procedere con il disegno di legge in esame, e in tale disegno di legge avete espressamente previsto, all’art.3, che tutte le materie citate nell’art.116, possano essere attribuite a una o più Regioni, e possano essere attribuite nella loro interezza, in violazione della complessiva architettura costituzionale e dello stesso art.116 (come abbiamo spiegato nella pregiudiziale).

Avete inoltre proceduto senza aver chiarito come verranno determinati e resi esigibili i Livelli essenziali delle prestazioni:  il materiale che abbiamo fino ad ora potuto consultare è una fotografia (abbastanza sfocata) della legislazione esistente che ad avviso del CLEP (Comitato per i Livelli essenziali delle prestazioni) potrebbe essere astrattamente considerata “livello essenziale delle prestazioni…”

Ma la domanda inevasa è se tale legislazione vigente sia o no adeguata, sia o no attuata in maniera uniforme su tutto il territorio, se sia insomma o no conforme all’art.117 lett.m);

Perché non abbiamo dunque atteso che il CLEP terminasse il proprio lavoro e ci mettesse a conoscenza dello stato di attuazione dei diversi livelli essenziali, o perlomeno dei criteri che verranno seguiti per la loro determinazione e delle risorse che sarà necessario reperire?

Perché nell’ultima settimana di novembre vi è stata una accelerazione dei lavori e si è chiusa la discussione senza acquisire tali fondamentali elementi di conoscenza/informazioni ?

La risposta, onorevoli colleghi, temo che sia purtroppo semplice: perché Il 15 novembre 2023 viene trasmesso al Senato il ddl costituzionale n.935, con cui il Governo propone (in maniera peraltro piuttosto pasticciata) di eleggere direttamente il Pres del Consiglio, marginalizzare il ruolo e la funzione del Parlamento ( e con esso del Pres della Rep), in breve ridurre la democrazia alla scelta del capo, e si è consumato uno scambio tra le due riforme, tra la Lega e FDI, …e la Lega, sull’autonomia differenziata, ha avuto la meglio.

 

I moniti della Banca d'Italia

Uno scambio al ribasso, perché nel merito ha prodotto disposizioni del tutto irragionevoli che rischiano solo di far crescere divisioni e conflittualità (territoriali, politiche e sociali) e (così alla fine) di impoverire l’intero Paese.

Ignorando i moniti della Banca d’Italia, dell’Upb e di illustri componenti del Clep (come Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo e Alessandro Pajno), il ddl prevede che vengano definiti i Lep (solo delle materie ex 116, terzo comma, e) solo in funzione della quantificazione delle risorse da trasferire alle regioni interessate, operando in questo modo una inversione tra art.117, lett.m) e art. 116, terzo comma, che solleva seri dubbi di costituzionalità.

Il Titolo V, pur con tutti i suoi limiti, è chiaro nel prescrivere che si dia prima attuazione all’art.117 lett.m) che prima si attuino cioè i Lep, e solo dopo, si possa eventualmente procedere ad attribuire forme di autonomia differenziata ad alcune regioni.

L’art.116, 3 comma, non è autoapplicativo e non impone affatto di devolvere competenze legislative, dividere il Paese e far crescere le disuguaglianze… ma si limita a ipotizzare una eventualità che dovrebbe essere concretizzata con prudenza e nella misura in cui vi siano adeguate condizioni di uguaglianza e produca benefici all’intero Paese. 

E ancora, nonostante l’art.117 della Costituzione sia chiarissimo nel prescrivere che i Lep vengano determinati con legge (o eventualmente con atto avente forza di legge) l’art.3 del ddl Calderoli, anche dopo essere stato emendato, continua a prevedere che i Lep siano determinati e aggiornati con DPCM.

Forse non avete avuto il tempo di leggere con attenzione la riformulazione proposta dal Governo, ma il comma 9 e poi il comma 10 dell’art.3 specificano che nelle more dell’approvazione dei decreti legislativi, i Lep continueranno ad essere determinati con DPCM e che alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi “è fatta salva la determinazione dei Lep” avvenuta con DPCM, e per chiudere il cerchio, lo stesso art.3 dispone che i Lep potranno essere aggiornati periodicamente, in coerenza e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, con DPCM.

Il testo originario è stato emendato, certo, ma se questi sono i risultati, faccio fatica a capire come i presentatori dell’emendamento sulla fonte giuridica dei Lep, (che mi sembra siano i massimi esponenti di Fratelli d’Italia in commissione), possano esultare; o forse esultano perché, in coerenza con la riforma costituzionale del premierato, si concentra così ogni potere nel Presidente del Consiglio.

L’art 2 del resto non chiarisce neppure se le Camere possano emendare le intese o possano solo pronunciarsi con un si o con no, e soprattutto non garantisce alcun effettivo ruolo alle Camere nella fase di definizione delle intese: come invece avevamo proposto attraverso numerosi emendamenti che sono stati tutti respinti dalla maggioranza. 


Il rischio diseguaglianze e divisioni

Ci troviamo insomma di fronte a una legge dalla dubbia efficacia giuridica, che marginalizza il ruolo del Parlamento a favore del Governo (e questo profilo di indirizzo politico accomuna la riforma dell’autonomia con quella del premierato) e, soprattutto, ci troviamo di fronte a una legge che, in ultima analisi, nel ribaltare il rapporto tra articolo 116 e art 117 della Costituzione, rischia di accrescere le disuguaglianze e le divisioni.

 Disuguaglianze e divisioni contrarie al principio di sussidiarietà, che dovrebbe invece orientare e caratterizzare ogni forma di autonomia, e alla fine quindi dannose per tutte le Regioni, comprese quelle più infrastrutturate e ricche.

 Perché come ci hanno spiegato gli auditi e ci ha ricordato il Presidente Mattarella, le profonde disuguaglianze che attraversano il nostro Paese, non sono il prezzo che occorre pagare per promuovere crescita e sviluppo, ma al contrario sono una zavorra alla crescita e allo sviluppo medesimi.

 Ecco, per queste ragioni, per non accrescere ulteriormente la zavorra delle disuguaglianze, per preservare l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, il nostro voto sarà contrario e la nostra opposizione continuerà a essere ferma e determinata.


Andrea Giorgis, senatore Pd, Membro della 1ª Commissione permanente (Affari Costituzionali

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