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2 agosto 1980: la strage di Bologna, punto più alto dei misteri d'Italia

di Marco Travaglini


Quarantatré anni fa, domani, dal 2 agosto 1980: quel giorno, alle 10.25 di un caldo mattino di sabato, avvenne uno degli atti terroristici più gravi del secondo dopoguerra, il più sanguinoso e criminale degli anni in coda alla Strategia della tensione che si era aperta negli anni Sessanta del Novecento. Nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna Centrale esplose un ordigno a tempo, nascosto in una valigia abbandonata. Ottantacinque persone persero la vita e oltre duecento riportarono ferite molto serie. La violenta esplosione venne avvertita nel raggio di parecchi chilometri. Un'intera ala della stazione crollò come un castello di carta, investendo il treno Ancona-Chiasso che sostava sul primo binario e il parcheggio dei taxi antistante l'edificio.

I morti piemontesi

Tra le ottantacinque vite innocenti che furono spezzate, quattro erano piemontesi. Mauro Alganon, 22 anni, astigiano, viveva in casa con i genitori pensionati. Ultimo di tre figli lavorava come commesso in una libreria ed era appassionato di fotografia. Era partito molto presto quella mattina con un amico per andare a Venezia. A Bologna dovevano cambiare treno, ma, a causa di un ritardo, persero la coincidenza. Faceva caldo e cercarono ristoro nella sala d'aspetto, uscendo a turno a prendere un poco d'aria. L'esplosione lo uccise mentre stava leggendo un giornale. L'amico che era uscito dalla stazione riuscì a salvarsi.

Rossella Marceddu aveva 19 anni e viveva con i genitori e la sorella a Prarolo, piccolo comune a sud di Vercelli. Studiava per diventare assistente sociale e aveva appena trascorso alcuni giorni di vacanza con il padre e la sorella al Lido degli Estensi. Stava rientrando a casa per raggiungere il fidanzato. Inizialmente, con l'amica che l'accompagnava, avevano pensato di fare il viaggio in moto, poi scelsero il treno ritenendolo più sicuro. Quella mattina si trovavano sul marciapiede del quarto binario in attesa del treno diretto a Milano. L'aria era afosa e così decise di andare a prendere qualcosa da bere. La bomba scoppiò mentre la ragazza stava andando al bar e la uccise. L'amica rimasta sul quarto binario si salvò.

Il cinquantaquattrenne Amorveno Marzagalli viveva ad Omegna sul lago d'Orta, con la moglie Maria e il figlio Marco. Lavorava come dirigente in una ditta produttrice di macchine da caffè. In quell'estate dell'Ottanta aveva accompagnato la famiglia al Lido degli Estensi, in provincia di Ravenna e, poi, avrebbe dovuto raggiungere il fratello a Cremona con il quale aveva programmato una gita sul Po. Erano dieci anni che il fratello lo invitava, ma solo quella volta Amorveno acconsentì, anche per non lasciarlo solo dopo la morte della madre avvenuta in giugno. La mattina del 2 agosto si fece accompagnare alla stazione di Ravenna e di lì, dopo vent'anni che non saliva su un treno, si mise in viaggio alla volta di Bologna dove lo attendeva una coincidenza in partenza alle 11.05 che però non riuscì mai a prendere.

La quarta vittima aveva 33 anni, si chiamava Mirco Castellaro ed era nato a Frossasco in provincia di Torino. Nel paese a due passi da Pinerolo, dove il padre Ilario era stato sindaco, aveva vissuto a lungo per poi trasferirsi a Ferrara dove risiedeva con la moglie e il figlio di sei anni. Capoufficio presso la ditta Vortex Hidra a Fossalta di Copparo, nel ferrarese, aveva da poco acquistato un'imbarcazione in società con un amico, accarezzando il progetto di avviare una attività rivolta ai turisti. In quell'estate del 1980 l'obiettivo era di sistemare il natante ormeggiato in Sicilia e di fare alcuni piccoli viaggi di rodaggio. Una serie di imprevisti costrinse Mirco a ritardare la partenza. E l'appuntamento con il destino lo colse quel maledetto sabato di agosto alla stazione di Bologna.



Misteri, depistaggi e complicità "eccellenti"

L'individuazione delle responsabilità della strage di Bologna rappresenta una delle vicende giudiziarie più complicate, lente e discusse della storia contemporanea del nostro Paese. Una vicenda che ha conosciuto tentativi di depistaggio e che, viceversa, nella ricerca della verità, ha visto l'impegno dell'associazione tra i familiari delle vittime della strage, costituitasi il 1° giugno dell'81. Dopo vari gradi di giudizio si giunse a una sentenza definitiva di Cassazione solo quindici anni dopo la strage, il 23 novembre 1995: vennero condannati all'ergastolo come esecutori dell'attentato i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (che si sono sempre dichiarati innocenti, pur avendo apertamente rivendicato vari altri omicidi di quegli anni).

Per i depistaggi delle indagini furono condannati l'ex capo della P2 Licio Gelli (nella foto a sinistra), l'ex agente del Sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Il 9 giugno del 2000 la Corte d'Assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio e sette anni più tardi venne condannato a trent’anni per l'esecuzione della strage anche Luigi Ciavardini (minorenne all'epoca dei fatti). Altri due imputati, Massimiliano Fachini (anch'esso legato agli ambienti dell'estrema destra ed esperto di timer e inneschi) e Sergio Picciafuoco (criminale comune, presente quel giorno alla stazione di Bologna, per sua stessa ammissione), vennero condannati in primo grado, ma poi assolti in via definitiva, rispettivamente nel 1994 e nel 1996. Nel 2017 venne rinviato a giudizio per concorso nella strage di Bologna l'ex terrorista dei Nar Gilberto Cavallini.

Nell'ambito di questo procedimento venne richiesta una nuova perizia sui reperti della stazione ancora conservati. La perizia segnalò il ritrovamento di quello che poteva essere l'interruttore che fece esplodere l'ordigno. Nuovi e recenti scenari si aprirono tre anni fa: il 9 gennaio del 2020 Cavallini, sulle cui spalle pesavano già otto ergastoli, fu condannato con sentenza di primo grado, per concorso nella strage. A maggio la Procura generale del capoluogo emiliano chiese il rinvio a giudizio dell'ex militante di Avanguardia nazionale Paolo Bellini, in quanto esecutore dell'attentato alla stazione mettendo in rilievo che avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, con l'ex capo dell'ufficio Affari riservati del Viminale Federico Umberto D'Amato, con l'imprenditore e finanziere piduista Umberto Ortolani e col giornalista Mario Tedeschi, tutti morti nel frattempo e tutti coinvolti come possibili mandanti o finanziatori dell'eccidio.


Condanna ed arresto per il neofascista Paolo Bellini

"La giustizia non ha fine", disse un giorno Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime del 2 Agosto, lo stesso che oggi denuncia un "clima politico e culturale inquietante" rispetto agli episodi di terrorismo in aperta polemica con il ministro alla Giustizia Carlo Nordio. Tuttavia, nell’aprile 2022, una parola fine almeno per quanto riguarda il nuovo processo della strage alla stazione è arrivata, 42 anni dopo: ergastolo per Paolo Bellini, ex di Avanguardia Nazionale accusato di concorso nella strage, con un anno di isolamento diurno. Quello che venne definito come '"l’uomo nero", è stato riconosciuto da questa sentenza come il quinto attentatore, in concorso con i Nar condannati in definitiva, Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini e, in primo grado, Gilberto Cavallini.

Il 29 giugno scorso, Paolo Bellini è stato arrestato. Dalle intercettazioni telefoniche è emerso che preparava nuovi gesti di violenza, in particolare contro la moglie che non aveva avallato il suo alibi durante il processo di primo grado. Inoltre, frasi minacciose erano state intercettate verso il figlio del giudice Francesco Maria Caruso, presidente della corte d'Assise di Bologna che in primo grado lo ha condannato all'ergastolo.

Si è giunti finalmente a gettare luce sui mandanti? E’ stata messa la parola fine a questa interminabile vicenda? E’ augurabile che sia così per dare finalmente dei volti e dei nomi a chi decise di colpire al cuore la nazione, stroncando la vita e i sogni di tanti innocenti e delle loro famiglie.



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