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Vita e morte di Guido Rossa

Aggiornamento: 19 ott 2022


di Piera Egidi Bouchard


Un racconto in tre tappe e una mostra, che l’Istituto torinese della Resistenza ha dedicato a Guido Rossa, l’operaio comunista, sindacalista della Fiom-Cgil all’Italsider di Genova-Cornigliano, che ebbe il coraggio di denunciare da solo un compagno di lavoro brigatista (Francesco Berardi), e per questo venne ucciso da un commando della colonna genovese delle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979, a poche decine di metri dalla sua abitazione in via Ischia 4, nel quartiere collinare dell'Oregina.[1]


Torino, in cui Rossa aveva lavorato come apprendista, poi fresatore alla Fiat negli anni Cinquanta - città che fu colpita violentemente dal terrorismo, quando "si sparava nelle strade", così come al terzo grande polo industriale, Milano - ha voluto ricordare la sua figura, innanzitutto con l ‘esposizione delle sue fotografie, al Polo del ‘900. Stranamente, per un uomo così impegnato civilmente non sono fotografie "politiche" (c’è solo piazza San Carlo imbandierata di rosso, per una manifestazione, forse un Primo maggio, del ‘69 ), ma poi c’è il mare, ci sono i vicoli di Genova e i suoi vecchi abitanti, o i bambini nudi del Tibet, immagini tratte dalla spedizione del Cai torinese, di cui Rossa, valente scalatore, era socio. Non a caso, la seconda tappa del seminario è stata dedicata al Guido Rossa alpinista, da cui emergono passione e anima: un bravo fotografo davvero.


Eroe o delatore? Queste le due letture contrapposte in quegli "anni di piombo", quando si accese il dibattito nella società italiana. I brigatisti erano "compagni che sbagliano"? Era sufficiente porsi in posizione equidistante, "né con lo Stato, né con le BR"? o bisognava piuttosto guardare,come suggerì Rossana Rossanda nell’"album di famiglia", analizzare una complessa situazione che veniva in seguito agli anni delle stragi nere, della "Strategia della tensione", dell’eversione fascista?

Il Pci di Enrico Berlinguer fu subito determinato nella condanna della violenza terrorista e la morte di Guido Rossa – cui fu poi dedicata la medaglia d’oro al valore civile – innescò una potente reazione di massa nella società civile e anche nelle fabbriche genovesi. Al funerale, si snodò l’immenso corteo di circa 250 mila persone, cui presenziò il presidente della Repubblica Sandro Pertini (suo il famoso incontro subito dopo con i lavoratori del porto, i "camalli", e la frase irata: "Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!").


Sì, perché quello che è emerso in questo seminario è stata proprio la strategia terrorista di eliminare coloro che difendevano lo Stato, la politica e la società italiana con metodi democratici. Il giudice Emilio Alessandrini, che aveva indagato sulla strage di piazza Fontana, assassinato a Milano da un gruppo di Prima linea il 29 gennaio del 1979, era uno di questi; così come la vittima più importante, lo statista Aldo Moro, ucciso il 9 maggio del 1978, che aveva elaborato la strategia della collaborazione al governo dei due partiti che raccoglievano la maggior parte delle masse popolari, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, che nelle elezioni del 1976, con una partecipazione al voto del 93 per cento, raccolsero complessivamente il 73 per cento dei voti.


Il primo incontro è stato dedicato alla biografia di Guido Rossa,con un’analisi di Giovanni De Luna, autore di un saggio su quegli anni citato poi molte volte[2], e l’iniziativa del seminario è stata presentata da Paolo Borgna, presidente dell’Istoreto, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Torino, scrittore e saggista, e che nell’ultimo dibattito ha rilevato il ruolo che proprio la magistratura di quegli anni svolse come "baluardo della democrazia". Questo aspetto è stato successivamente analizzato dettagliatamente da un altro magistrato, Francesco Gianfrotta, il quale ha percorso un’accurata disamina e valutazione delle leggi di quegli anni, che furono anche un modo con cui lo Stato reagì e poté combattere e battere il terrorismo.


Il susseguirsi degli avvenimenti nazionali è stato illustrato dalla storica Monica Galfrè, che ha citato anche la biografia di Rossa scritta da Sergio Luzzatto. E a questo proposito val la pena rileggere un significativo saggio - memoriale di alcuni anni fa - è del 2009 - del giudice torinese Gian Carlo Caselli "Le due guerre - Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia"[3], istruttivo e di estrema attualità. Impossibile ripercorrere tutto lo snodo dei diversi e qualificati apporti che speriamo poter leggere pubblicati.


Ma ricordiamo ancora l’ultimo intervento, quello di un docente, Marco Meotto, competente e appassionato giovane insegnante con la sua scolaresca in platea, in una sala strapiena, cresciuto "dopo" questi terribili anni (è del 1980, "due generazioni dopo", ha detto, ma ha ricordato il suo papà operaio, che ebbe anche lui il coraggio della denuncia). E alla fine ha voluto proporre, per cercar di veicolare le “motivazioni - ha sottolineato - non le “ragioni” di quel decennio, che il 9 maggio, giornata dedicata nazionalmente alle vittime del terrorismo, sia celebrata nelle scuole con il ricordo di Guido Rossa. Il sindacalista che nel 1978, in uno dei suoi appunti privati, profeticamente scrisse: "Il terrorismo è il prodotto di una crisi attorno alla quale si giocano i destini del movimento operaio e della nazione".


Note

[1] Nello stesso quartiere dell'Oregina, nella notte del 28 marzo, il nucleo antiterrorismo dei carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, fece irruzione in un appartamento di via Umberto Fracchia 12, occupato da quattro brigatisti rossi. Nello scontro a fuoco che ne seguì, rimase ferito il maresciallo dell'Arma Rinaldo Benà, e furono uccisi i brigatisti Annamaria Ludmann, Lorenzo Betassa, Piero Panciarelli e Riccardo Dura, quest'ultimo indicato come colui che sparò il colpo letale a Rossa.

[2] Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio 1969-1979. Militanza,violenza,sconfitta,memoria", Feltrinelli 2009.

[3] Gian Carlo Caselli, "Le due guerre- Perchè l Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia", Posfazione di Marco Travaglio, Melampo 2009.


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