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Virus docet: prime riflessioni

Aggiornamento: 9 apr 2023

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi


Oltre ad analizzare gli errori e gli isterismi connessi alla disabitudine a gestire epidemie, da cui siamo stati per decenni immuni, dobbiamo cominciare a domandarci che cosa insegneranno gli attuali deficit, non solo strutturali, ma etici, alle prossime generazioni. Innanzitutto, a porsi sono domande non rituali: che cosa si può spendere senza controllo, che cosa si può selezionare e, primario, chi curare e chi no, e prima ancora, chi può prendere questa decisione. Una prima risposta si può trovare nei testi di T. R. Malthus di fine Settecento (dove le epidemie costituivano un freno razionalizzatore) e, in tempi moderni, in Contro un nemico invisibile di C. M. Cipolla (Mulino, 2007) che sottolineava le irrazionalità nel combattere un nemico che non si vede, ma è tra di noi. Tutti siamo impreparati, dalle strutture internazionali, ai sistemi sanitari, sia pubblici, sia privati, ed incapaci di stabilire efficaci regole d’ingaggio, con il risultato che le decisioni prese risultano quanto mai confuse agli occhi delle impaurite collettività, lasciando così spazio a interpretazioni varie, a fake news, finanche al «helicopter money», cioè l’immissione di una grande quantità di denaro per stimolare e sostenere l’economia. Prima di cominciare a discutere su chi curare e chi no, si possono formulare alcune osservazioni di carattere socio-economiche sul Covid19 ad emergenza finita. 1) L’esperienza ci insegnerà a comunicare meglio, evitando, ad esempio, di allertare con “campagne di phishing” (truffe su internet) di “non immediata” comprensione, specie per la popolazione anziana. 2) Si affermerà l’uso della moneta elettronica anziché la carta (nelle osterie della vecchia Torino si gettavano le monete in barili di aceto per disinfettarle) e il telelavoro sostituirà le vecchie bollatrici, diminuendo l’inquinamento e concentrando l’attenzione sui risultati. 3) Ci si renderà conto che insistere con il deficit spending quando le cose vanno bene, impoverisce le potenzialità di risposta nei momenti di magra e che le crisi si risolvono con la razionalità e non raddoppiando le spese e le assunzioni, ben sapendo che lo stesso discorso lo propongono, nei vari Stati, i partiti di opposizione, indipendentemente dal colore politico della maggioranza (il tutto senza una visione globale). 4) La consapevolezza che gli errori commessi oggi, come quelli di ieri sull’inquinamento, ricadranno sulle prossime generazioni (ammesso che non siamo già noi la prossima generazione). 5) Che l’Unione Europea, sulla carta un grande continente finalmente unico e unito, ha rischiato di essere frantumata per il rinascere di una penosa diffidenza. L’elenco potrebbe continuare, tuttavia va premesso che se i problemi tecnici potranno essere risolti, a impedire un’evoluzione positiva del sistema sarà proprio l’egoismo individuale, dove ognuno pensa solo a garantire il proprio benessere ed è pronto a mettere a rischio il resto della collettività. Le guerre non si combattono più con gli eserciti o con le repressioni di massa, ma spostando migliaia di profughi, utilizzando hacker prezzolati e, forse, anche approfittando delle epidemie. Il che permetterà a qualcuno di acquistare a basso prezzo gli asset delle nostre economie o di annientare i soggetti ritenuti deboli (discorso raccapricciante che l’Europa ha già vissuto). La storia del nostro Medioevo insegnò che alla peste si poteva attribuire, sia pur con una forte dose di cinismo, una funzione equilibratrice della popolazione rispetto alla scarsità dei mezzi di sussistenza. Chi sopravviveva, infatti, si ritrovava nella condizione di disporre un rapporto più favorevole abitanti/bestiame, abitanti/superficie, mentre le epizoozie invertivano detti parametri. Oggi questo tipo di equazione perde di significato per la facilità di muovere persone e cose tale da rendere ininfluente qualsiasi singola iniziativa e ciò spiega l’impotenza di molti degli attuali poteri e le reazioni isteriche di molti attori. La storia insegna però che, le grandi catastrofi, come la Seconda guerra mondiale, selezionano una classe dirigente con ritrovati principi etici, nonché dotata di notevoli capacità decisionali. Principi, e non è un elemento secondario, riformulati proprio a seguito di fatti drammatici: le ragioni che portarono a condannare i medici nazisti ispirati dalle degenerazioni del darwinismo rappresentano il principale documento per definiredove finisce la ricerca scientifica e, in particolare, fino a dove un soggetto si può spingere nel decidere sulla vita di un altro essere umano. Forse sarà anche questo il senso delle reazioni dell’umanità alle catastrofi.


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