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Una risposta a Galli della Loggia: il cristianesimo non è un residuo archeologico

di Luca Rolandi

Interessante e problematico il corsivo di Ernesto Galli della Loggia su il Corriere della Sera.[1] Apre un dibattito sul cristianesimo in Europa con indicazioni suggestive, ma ripiegando il messaggio del Vangelo in una dinamica ideologica che prende una china pericolosa. Anche la citazione di Jacques Maritain sulla società cristiana appare legata ad un contesto e un'interpretazione che vede il cristianesimo solo nella sua dimensione culturale e molto meno in quella esistenziale. L’eurocentrismo irrobustito e definito sul cristianesimo, nato e sviluppatosi in Oriente, appare come un surrogato molto subdolo che svuota alla radice il messaggio universale del cristianesimo che si è affermato compiutamente con il Concilio Vaticano II e con la svolta decisiva di inculturazione della fede espressa nella nuova evangelizzazione, peraltro promossa da tutti i magisteri pontifici da Paolo VI a Francesco post conciliari.

Il cristianesimo è ancora cultura, economia, politica, visione del mondo ma non può e non deve essere solo dentro una dimensione geografica. Neppure più l’Islam o le religioni orientali si identificano nelle loro prospettive più avanzate e pacifiche in quest’ottica. Non penso che il cristianesimo sia un residuo archeologico anche se Galli ha ragione quando dice che Gesù Cristo figlio di Dio e il mistero trinitario siano espressioni difficili da comprendere oggi. Ma mi chiedo se lo fossero cento anni fa? La presenza nella storia di Gesù Cristo non si misura sulla forza del suo impatto politico, ma nella domanda profonda, fondamentale e angosciante del chi sono io, cosa ci faccio in questo mondo.

Il senso del cristianesimo viene espresso nella riflessione puntuale e drammatica di Augusto Del Noce, Pietro Prini o di Michel de Certeau, con le parole forti su secolarizzazione e la frantumazione del messaggio di salvezza. E qui Galli della Loggia ha ragione: la riduzione a tradizione culturale, senza nessuna radicalità, è presente nei cristiani di minoranza con “l’inizio di una rapida ricostruzione di segno capitalistico-americano all’insegna del consumismo e dell’individualismo” ricercati in Europa dalla metà del secolo scorso, anche in reazione al comunismo e alla aberrazione del totalitarismo nazionalista, fascista e nazista.

E’ il grande tema dell’identità e dell’appartenenza ad un mondo, una cultura, una prospettiva, un sogno che mancano perché gli orizzonti si sono ristretti, l’inadeguatezza della post-modernità emersa in un contesto dove non esistono più certezze e pensieri forti, forse l’ecologia per la sopravvivenza del pianeta, ma nulla di più.

E certamente il cattolicesimo politico: popolare, democratico e liberale che tanta parte ha rappresentato nel XX secolo oggi segna il passo soffocato non tanto dalle tradizioni socialiste e liberali, anche esse in affanno, ma in una cultura fluida, impalpabile in cui l’io, l’ego, l’individuo e non la persona sono al centro di ogni diritto e troppi pochi doveri e valori umani e anche cristiani. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto, al netto delle considerazione del professore, in realtà hanno dato, pure nelle loro rispettive e consolidate radici europee un respiro universale e mondiale al cristianesimo e al ruolo della Chiesa cattolica, basterebbe analizzare in profondità i loro due pontificati.

Francesco, il papa che arriva dalla fine del mondo, ha impresso l’accelerazione definitiva non per distruggere per il cristianesimo in Europa, bensì per salvarlo dai suoi riti stanchi, incompresi e riportarlo alla dimensione della relazione verticale e orizzontale, non in uno sterile spiritualismo, ma in una dimensione di incarnazione concreta. E' Francesco che afferma che il pellegrino che cammina nel mondo non è del mondo e con esso si confronta, come i discepoli di Emmaus, incontrato l’altro che è Dio e verso una meta altra e misteriosamente diversa dal presente che eternamente caratterizza il paradosso della vita.


Note

[1] Ernesto Galli della Loggia, La Chiesa che perde l'Europa, Corriere della Sera, 31 gennaio 2023



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