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Un libro per voi: “Se un angelo a Lisbona..."



“Ora tutto era diventato spaventosamente chiaro: il Toro, il mio Toro, non esisteva più. Persino l’episodio dell’inquietante nube che aveva oscurato improvvisamente il cielo della Spagna sembrava il presagio di ciò che stava accadendo in quel momento. Un arbitro crudele aveva deciso di chiudere la partita prima del tempo mentre gli spalti erano ancora pieni di gente che gioiva o soffriva. E la palla si ostinava a rotolare sull’erba del

Fila. Ma nessuno la inseguiva più.”


E se non fosse accaduto? Se quel gruppo di giovani calciatori non fosse salito su quell’aereo a Lisbona? Se non si fosse schiantato il 4 maggio di settantacinque anni fa sulla collina di Superga? Se non fosse sparita, in un attimo, quella squadra di Invincibili? È Guglielmo Gabetto, il funambolico avanti del Grande Torino, l’attaccante dei gol impossibili a raccontarci, con le sue “vive” parole, intrise di quella schietta torinesità che tanto amava, questa straordinaria, immaginifica, eventualità.

Dalla penna di due scrittori granata, fra i quali il figlio del grande Gabetto, sgorga questa ardita fantasia: pagine che mescolano, con intelligenza, ironia e commozione, l’impossibile e il probabile, la realtà e l’immaginazione, e che ci invitano a riflettere sulle sliding doors delle nostre vite, sull’aleatorietà delle scelte che ciascuno di noi opera, capaci di indirizzare una vita in un verso piuttosto che un altro.[1]

Un racconto che rende omaggio alla memoria «di uomini che non erano solo campioni, ma che rappresentavano per tutti gli Italiani la voglia di rinascita, di ripartenza dopo le distruzioni, materiali e spirituali, della Seconda guerra mondiale che avevano lasciato il nostro Paese in ginocchio. Quando Valentino Mazzola, Guglielmo Gabetto, Franco Ossola e compagni vincevano, vinceva tutta l’Italia. Ed è per questo che ancora oggi sogniamo ad occhi aperti. Se non avessero preso quell’aereo…», come scrive  Beppe Gandolfo nella sua prefazione.

Del resto, l’impatto emotivo suscitato, ormai settantacinque anni or sono, dalla tragedia di Superga ‒ che si portò via in un baleno gli Invincibili, il Grande Torino, la più bella squadra di calcio d’ogni tempo ‒ non ha mai cessato di stimolare ricordi, ricostruzioni e persino ardite, ma plausibili, fantasie come quella di queste pagine che mescolano con intelligenza, ironia e commozione, l’impossibile e il probabile, la realtà e l’immaginazione. Come scrisse Valdo Fusi, partigiano, uno degli scampati alla morte al Martinetto di Torino, "quando morì la squadra [...] la città non mangiò, non fumò, non respirò per tutto il pomeriggio del funerale", il 6 maggio. Sette giorni prima, il 30 aprile, sul campo di San Siro, il Grande Torino aveva bruciato le residue speranze dell'Inter di provare a mettersi sulla scia dei campioni per cercare un estremo aggancio in vetta nelle ultime gare. Ma il pareggio in bianco aveva mantenuto intatte le distanze tra le due squadre. Anzi, tra una squadra e la Squadra, quella che aveva conquistato cinque scudetti consecutivi. Campioni senza bisogno di aggettivi la cui fama aveva travalicato i confini e le colonne d'Ercole. Nel giorno in cui i quotidiani annunciavano i funerali, dalla penna di Gianni Puccini, giornalista, scrittore, regista, apparvero sulle colonne de l'Unità parole che continuano a suscitare forti emozioni: "II Torino! Era qualcosa di più che undici maglie rosse (o, come s'usava dire, granata). Era l'orgoglio d'una città intera, che se l'era fabbricato pazientemente, nella sua perfezione tecnica e atletica riassumendo cinquanta anni di raffinate esperienze. Era la passione degli operai torinesi, che su quel colore vivido delle maglie negli anni del lutto avevano trasferito un amore proibito e segreto. Era, come tutti sanno, la nazionale stessa: un pezzo d'Italia: il simbolo prodigioso dello sport del popolo, di quella grande festa degli italiani umili che è il gioco del calcio".


Note

[1] Orazio Di Mauro e Sergio Gabetto, E se un angelo a Lisbona..., Neos Edizioni, 2024, 80 pagine - € 14,00. Orazio Di Mauro è nato Torino nel 1949 dove si è laureato in Ingegneria. Docente di fisica nelle scuole superiori, si è occupato di divulgazione scientifica e didattica. Dagli anni Ottanta ha militato nel movimento ecologista, scrivendo testi scientifici e teatrali, dirigendo corti e collaborando a riviste.

Sergio Gabetto, nato a Torino nel 1947 è il figlio di Guglielmo, giocatore del Grande Torino scomparso a Superga il 4 maggio 1949. Dopo gli studi liceali e la laurea in Matematica presso l'Università di Torino, ha insegnato negli istituti superiori e come assistente universitario presso la facoltà di Fisica di Torino.

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