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Post-Covid: una stagione nel segno della violenza


di Chiara Laura Riccardo e Emanuele Davide Ruffino


Gli episodi di violenza, da quella di genere a quella minorile, passando per quella verso gli operatori sanitari, sono sistematicamente in aumento. Se analizziamo i dati relativi agli episodi di violenza, ex-ante ed ex-post lock down, si evidenzia un accresciuto rischio di violenza sulle donne nonché gli agiti violenti compiuti da minori. I dati del Viminale riportano che, in Italia nel 2022, si sono registrati 300 omicidi con 119 vittime donne. Se guardiamo all’ambito familiare, il reato di maltrattamenti è aumentato dell’11% con un sensibile incremento delle denunce durante il periodo pandemico. Nel medesimo periodo si osserva poi un ulteriore dato allarmante: i reati commessi dai minori sono in costante e preoccupante crescita. Rispetto al 2019, risulta essere aumentato del 15% il numero di minorenni denunciati, anche per episodi di violenza da branco. Le esplosioni di ira da parte di minorenni sono sempre più frequenti e nel ricercarne le ragioni appaiono anche le conseguenze provocate dalle condizioni di vita conseguenti al Covid. L’aumento delle ore passate davanti alla televisione o in compagnia dei videogiochi anziché con gli amici, hanno fatto perdere il rapporto con la realtà ed ora che i vincoli si sono allentati, si dà sfogo agli istinti più primordiali, non essendo più capaci di rapportarsi con gli altri.

Anche nell’ambito sanitario gli operatori sono ad alto rischio di violenza, sia fisica che verbale. Ogni anno in Italia si contano 1200 atti di aggressione ai danni dei lavoratori della sanità (dai pronti soccorso ai reparti di degenza). A fronte di questi dati preoccupanti, è necessario “partire dal basso”, promuovendo nei giovani una “cultura delle relazioni” dove si affinino le competenze emotive necessarie per procedere verso il mondo adulto.


Una sempre più evidente distorsione della realtà

Comprendere le nuove generazione è sempre stato un dilemma che, in vari modi, si è sviluppato nel corso dei secoli, e più i cambiamenti si fanno tumultuosi, più diventa difficile. Il susseguirsi di eventi irrazionali induce a ripensare alle modalità di intervenire nei casi di violenza, ma anche di rivedere l’educazione, o la mancanza di questa, che si è diffusa tra le nuove generazioni. In una società dove tutto è opinabile, dove si può sostenere tutto e il contrario di tutto, si viene a creare una visione distorta della realtà, o per meglio dire, ci si illude che la realtà possa adeguarsi al proprio volere. E se ciò non avviene, basta un niente per generare reazioni sconsiderate.

Una rivalità sportiva, una relazione sentimentale compromessa, una felpa o un giubbotto desiderato, diventano “valide” ragioni per mettere a repentaglio la vita di una persona. A ciò fa da contorno una certa voglia di giustificare e scusare molti atti al di sopra delle righe, adducendo che dopo le restrizioni del lockdown si sia autorizzati a non più rispettare le regole. Si è arrivati al punto che per evitare tensioni sociali si dia l’idea di autorizzare qualsiasi nefandezza. E la malavita, sfruttando il sacro principio che un minorenne più che essere punito deve essere rieducato, arruola volentieri adolescenti, la cui immunità è garantita: un circolo vizioso quanto mai pericoloso e che la Covid-19 ha reso ancor più facile da attivare per l’esuberanza di chi ha dovuto contenersi per quasi due anni.

Dalle tragedie della Seconda guerra mondiale è uscita una classe dirigente che aveva un’idea di società e di sviluppo illuminato e aveva la capacità di progettarlo e realizzarlo. Il comportamento che sta uscendo dalla pandemia sembra incentrato a rivendicare bonus e agevolazioni di vario genere, senza una visione complessiva della società, anzi questa deve assoggettarsi al proprio volere.


Mancanza di valori e conseguente deriva sociale

Se si persevera in uno scontro prolungato tra istituzioni e cittadino, o tra cittadino e cittadino, si riducono le possibilità di sviluppo e ci s'incammina verso un’inevitabile decadenza. La collettività deve diventare “attore” autorevole e non solo una massa urlante e rivendicatrice: requisito che si raggiunge solo con una forte aggregazione e una chiara condivisione di interessi comuni (Confucio ammoniva: “Imparare senza riflettere, significa sprecare energia”). Rilanciare la capacità di fare investimenti economici e culturali, superando le sovrastrutture e ricercando il massimo ritorno in termini di benefici sociali, oltre che individuali, è il compito da assolvere se non si vuole cadere nella spirale della recessione sociale, che porta ad un imbarbarimento dei rapporti particolarmente enfatizzabili nelle giovani generazioni.

Il rendersi conto del problema è forse il primo antidoto per contrastare una pericolosa deriva e ridare al ruolo regolatore del sistema la capacità d’influenzare positivamente i comportamenti sociali, soprattutto di chi, per ragioni di età, non ha ancora sviluppato una coscienza critica.

Oggi non si riesce neanche più a capire chi deve occuparsi del problema. Singolarmente forze dell’ordine, tribunali, professionisti sanitari, organi del volontariato, sono tutti chiamati in causa, ma nessuno riesce più ad assumere un ruolo risolutivo e gli scontri sul definire le responsabilità nelle singole fattispecie (specie nei pronti soccorso) ne è una palesa testimonianza. Solo da un impegno sinergico di tutte le componenti permetterà di avvicinarsi ad una soluzione, ma prima bisogna definire un substrato culturale comune per definirne gli obiettivi.


Troppi i messaggi di giustificazione

Se la maggioranza dei componenti di un gruppo non accetta più le regole, allora la collettività può definirne di nuove che determinino un nuovo equilibrio e ricreino sicurezza intorno alla collettività. Per ritornare a simili condizioni diventa fondamentale una mano “visibile del mercato sociale” in grado di definire regole semplici, stabili e intellegibili, formalizzati in obiettivi razionali e condivisi, nonché ossequiosi dei principi etici e coerenti con le aspettative sociali, in modo da rendere armonico il processo di convivenza. Una specie di atarassia sociale in grado di ricomporre i contrasti generazionali, raggiungibile solo eliminando gli ostacoli che si frappongono al benessere generalizzato, foss’anche l’irrazionalità di un adolescente.

Sul tema della violenza il punto chiave resta, dunque, il riconoscere l’importanza del ruolo che ricopre la società. Troppi sono ancora i messaggi, più o meno velati, di giustificazione e/o accettazione degli atti di violenza. Spesso questi vengono minimizzati nella loro gravità, con tattiche e strategie di occultamento a livello sociale, arrivando anche a non ritenere opportuna l’offerta di un supporto alla vittima che in taluni casi si trova anche ad essere colpevolizzata o ad autocolpevolizzarsi.

Investire sulla costruzione sociale e sulle relazioni ci permetterà di uscire dalle, ancora perduranti, asimmetrie di genere e dalle gabbie degli stereotipi presenti nel mondo giovanile (ma non solo), garantendo, con i giusti strumenti, la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni violenti in ogni ambito.

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