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"Ridiamo forza alla fraternità", appello della Pastorale Migranti di Torino

Aggiornamento: 7 nov 2023


"L'accoglienza non è una penitenza. Torniamo ad incontrare le persone e a lavorare sulla fraternita". Sono parole che hanno riproposto da un'altra prospettiva, distante anni luce dalla situazione emergenziale o dalla propaganda politica, la questione migranti. Vista con la lente del cristiano, di chi soccorre in nome del Vangelo il più debole e al tempo stesso del laico che crede nell'egualitarismo e nella giustizia sociale. A pronunciarle, ieri sera nel secondo dei tre incontri su temi di grande attualità proposti dal settimanale La Voce e il Tempo e programmati alla Basilica della Consolata, don Sergio Durando, direttore della Pastorale sociale dei Migranti della Curia torinese.[1]

Allo stesso tavolo, con accanto il direttore della testata, Alberto Riccadonna (a sinistra nella foto*) che ha posto una serie di domande, e di fronte poco meno di un centinaio di persone (pochi giovani e migranti), Sergio Durando ha sgombrato fin dall'esordio il campo da facili e strumentali interpretazione del fenomeno migratorio in Italia: "Non siamo di fronte a nessuna invasione. Secondo i dati del Ministero dell'Interno, sono sbarcati sulle nostre coste 144 mila persone, di cui 15 mila minori. Cioè quella parte dell'umanità più offesa da guerre ed esposta alle carestie e all'emergenza climatica, alla quale ieri pomeriggio Papa Francesco, nell'Aula Paolo VI, si è come rivolto simbolicamente parlando a settemila bambini provenienti da 84 paesi del mondo, invitati a far sentire la loro voce agli adulti, "perché voi siete messaggeri di pace", ha detto il Pontefice.

I migranti che approdano in Italia non sono stanziali. La maggioranza considera il nostro Paese una tappa da cui ripartire per raggiungere luoghi in cui sono intellegibili i segnali di speranza e in cui burocrazia e istituzioni non si frappongono né all'integrazione, né ai ricongiungimenti famigliari. All'opposto, da oltre vent'anni, gli italiani sono costretti a misurarsi con politiche inadeguate a gestire i flussi migratori, a meno che non abbiano come fine ultimo lo sfruttamento della manodopera e della speculazione economica.

Nuda e cruda verità quella espressa dal direttore della Pastorale dei migranti che ha puntato il dito sull'annosa fragilità del Sistema Italia: sui migranti come su altre questioni, ultima in ordine cronologico quella ambientale e del cambiamento climatico che ha provocato l'alluvione in Toscana (8 morti), dopo quella di sei mesi fa in Emilia Romagna. Fragilità che si interconnettono anche con le migrazioni: sanità, istruzione e lavoro ostaggio del precariato e della cancellazione dei diritti: tout se tient e concorre a provocare quella che il sacerdote ritiene una iper-percezione del problema con riflessi fuori controllo nelle reazioni emotive e nelle dichiarazioni delle persone, aggredite da un altro versante da una propaganda e da un'informazione poco filtrata che si risveglia puntualmente ad ogni appuntamento elettorale, cioè sempre.

Eppure, proprio in ragione dei numeri, la sindrome del "diverso" non dovrebbe ricevere diritto di cittadinanza in Italia. All'opposto, "gli invisibili, i marginali, i vulnerabili", come li ha definiti don Durando, sono diventati il capro espiatorio di politiche funzionali all'intolleranza, al pregiudizio e, in casi estremi, il bersaglio della semina d'odio che in passato si è esplicitata in azioni violente e aggressive, come raccontato dalle cronache che nell'estate del 2018, per dare una misura del problema, costrinsero all'intervento il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In quel frangente, per stigmatizzare l'aggressione subita proprio nel Torinese, a Moncalieri, da Daisy Osakue, l'atleta di origini nigeriane, colpita al volto e ad un occhio mentre rientrava a casa, il Capo dello Stato non esitò a parlare di "barbarie", con un appello personale a non permettere di trasformare il Paese in un Far West.

Non è casuale, ha ricordato ancora don Durando, che in Italia gli stranieri sono in diminuzione, in fuga da un paese inospitale che produce come su un nastro trasportatore intimidazioni e paure, anziché opportunità di reali integrazioni e coinvolgimenti culturali. E si tratta dello stesso Paese, l'Italia, in caduta demografica, che si guarda bene dal ricordare che vivono all'estero milioni di connazionali, nella maggioranza giovani che cercano il futuro da un'altra parte, perché c'è chi ha cancellato la parola futuro dal lessico collettivo.



* Credit: Foto Renzo Bussio – La Voce e Il Tempo


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