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Reddito di base: una proposta per il post Covid-19

Aggiornamento: 19 mag 2023

di Mercedes Bresso


Beppe Grillo ha recentemente rilanciato l’idea del reddito di cittadinanza, ma qualificandola come reddito di base. Dal nostro osservatorio sul “Battello errante” con il nostro internet limitato, non riusciamo ad approfondire la sua versione, tuttavia vorremmo provare a spiegare la proposta di “reddito di base” com’è stata sottoposta a voto popolare in Svizzera, dove è stata rifiutata, ma ha ricevuto il voto di circa il 40% degli elettori, al punto da far dire ai promotori che la strada è aperta e che ci riproveranno. Intanto che cosa si intendeva con reddito di base? Una somma mensile, da attribuire a ogni cittadino svizzero, o residente permanente nel paese, indipendentemente dal suo reddito e dal fatto di essere o no sposato, a partire dal 18o anno di età. Per ogni minore sarebbe stato invece attribuita ai genitori una somma pari a un terzo circa. In Svizzera, dove PIL pro-capite e costo della vita sono molto alti, si calcolava che tale cifra avrebbe dovuto essere di circa 1800 franchi svizzeri e di 600 per i minori. Una famiglia di quattro persone, con due figli minori, avrebbe ad esempio ricevuto 1800+1800+ 600+ 600, cioè un totale di 4.800 franchi. Tali somme sarebbero state sostitutive di qualunque indennità di disoccupazione, di assegni famigliari, di sostegno alle spese per asili nido e per ogni ordine di scuole (ad esempio per l’università i figli già maggiorenni avrebbero usato il proprio reddito di base), del sostegno dato alle famiglie più povere per pagare i carissimi affitti o le assicurazioni sanitarie che in Svizzera sono a carico dei cittadini, e in generale di ogni tipo di sussidio sociale. Sarebbe anche stata sostitutiva della pensione sociale che in Svizzera è all’incirca di quella dimensione, ed è attualmente pagata a tutti, uomini e donne (con delle riduzioni per coppia e in rapporto agli anni lavorati), in aggiunta a quella derivante dagli accordi contrattuali per i lavoratori pubblici e privati. Poiché sarebbe stata ridisegnata l’imposta sui redditi nel senso di una maggiore progressività, di fatto, oltre un dato livello di guadagni, il reddito di base ricevuto sarebbe stato riassorbito dalle imposte e quindi annullato ma avrebbe pur sempre costituito una garanzia in caso di perdita del lavoro o di brusca diminuzione del reddito, ad esempio in un momento di crisi. La proposta, alla quale ha lavorato anche Sergio Rossi, un professore dell’Università di Friburgo di origine italiana, ipotizzava nella illustrazione che la accompagnava, il costo e i modi per finanziarla. Senza entrare troppo nel dettaglio si pensava che potesse costare circa un terzo del PIL. La sua approvazione e messa in opera avrebbe quindi necessitato un ridisegno complessivo del sistema fiscale, delle deduzioni e facilitazioni consentite, della stessa struttura della spesa pubblica, oltre a una valutazione dell’eventuale spinta che avrebbe impresso alla crescita del reddito. Fin qui la proposta, che abbiamo sempre trovato non solo interessante ma da prendere seriamente in considerazione per almeno due ragioni: anzitutto per dare stabilità al reddito in caso di crisi, e possiamo prevedere con facilità che questa non sarà l’ultima. In secondo luogo che in futuro non è vero che il lavoro non ci sarà ma sarà sempre più variabile e poco in grado di garantire presente e futuro delle famiglie. Mentre il reddito ci sarà ma più concentrato in attività ad alto valore aggiunto e bassa intensità di lavoro, con l’effetto già oggi evidente di una sempre maggiore concentrazione dei redditi e di una loro poco sostenibile variabilità nel corso della vita delle persone. Crediamo inoltre che in Italia un reddito di base ben congegnato potrebbe essere un utile modo per semplificare e ridurre l’insostenibile peso, e costo, della burocrazia e un modo per rilanciare la creatività e l’ingegnosità italiane. Si potrebbe cominciare con una cifra piuttosto bassa: ad esempio 500 euro per ogni cittadino e residente adulto e 150 /200 per ogni figlio minore. La somma sarebbe erogata a tutti e non soggetta a diminuzioni se la persona lavora, anzi il lavoro andrebbe incoraggiato anche con l’utilizzo dei fondi europei per fornire microcredito alle buone idee. Sarebbe anche sostitutiva delle pensioni sociali. Si potrebbe valutare se nella prima fase non erogarla a chi ha una pensione sufficiente per vivere, visto che questa è per definizione garantita. L’unica condizione sarebbe il vincolo di dichiarare ogni guadagno, anche minimo e anche al di sotto del livello di reddito imponibile, al fisco, pena la perdita del diritto al reddito di base, la prima volta per due anni e la seconda per sempre. Per rafforzare le volontà si potrebbe prevedere che ogni spesa debba essere tracciabile attraverso l’inserimento del codice fiscale tramite la tessera sanitaria. Questo permetterebbe di recuperare larga parte dei circa 150 miliardi di imposte evase. Il reddito di base sostituirebbe ogni altra voce di spesa sociale, indennità di disoccupazione, borse di studio, aiuti per gli asili nido, indennità di invalidità (eccezioni dovrebbero essere fatte per alcuni casi gravi) deduzioni per carichi familiari ma sarebbe anche abolita tutta l’infinita serie di deduzioni fiscali “incentivanti “ che nel tempo hanno reso opaco e ingiusto il nostro sistema fiscale. Il carico fiscale andrebbe riequilibrato per tenere conto della riduzione dell’evasione ma le aliquote rese più progressive per contrastare la concentrazione dei redditi sui più abbienti. Inoltre il sistema fiscale andrebbe rivisto nella direzione di una radicale semplificazione con l’eliminazione di micro- imposte o tasse la cui esazione costa spesso più di quanto rendano. Tutti dovrebbero pagare la stessa somma di imposte a parità di reddito. La semplificazione radicale della spesa pubblica e del sistema delle entrate potrebbe permettere la forte riduzione della burocrazia e dell’impiego pubblico per la parte che oggi s’inventa un ruolo attraverso le complicazioni burocratiche. Ciò permetterebbe anche di assumere più personale per le funzioni essenziali (sanità, sicurezza, sociale ecc.). La maggiore libertà per i giovani di poter intraprendere con coraggio nuove iniziative e la liberazione di risorse umane preziose oggi sterilizzate nella burocrazia inutile potrebbero permettere di rilanciare l’economia italiana su basi diverse e innovative. Molti temono che la disponibilità di un reddito, sia pure modesto, potrebbe scoraggiare molte persone dal lavorare. Ciò è certamente vero, anche se lo sarebbe meno se l’accettazione di un lavoro anche per un breve periodo o non conforme alle proprie aspettative, non facesse venire meno il diritto al reddito di base. Rispetto alle norme odierne sulle indennità di disoccupazione, ad esempio, la spinta a non lavorare sarebbe di sicuro minore. Di fatto, nelle nostre società una parte importante della popolazione non lavora, per ragioni molteplici, ed è in qualche modo a carico degli altri. Spesso la ragione è legata al disabituarsi della persona al lavoro a causa del prolungarsi della ricerca, allo scoraggiamento, alla poca differenza fra ciò che si riceve per la disoccupazione e la remunerazione di un lavoro precario. Se si guardano i dati degli avviamenti al lavoro, si vedrà che la stragrande maggioranza sono per pochi giorni o per poche settimane, oppure stagionali. Così sempre più spesso le persone si accomodano in una condizione di marginalità. Disporre di un reddito dignitoso non legato al fatto di non lavorare, libererebbe la disponibilità ad accettare piccoli lavori, lavori precari o per brevi periodi, garantirebbe gli stagionali, gli artigiani e i piccoli imprenditori, sempre al limite del farcela a sopravvivere, i professionisti nella fase iniziale della loro attività, incentiverebbe il lavoro artistico, culturale, creativo che per definizione non è permanente. Le stesse considerazioni valgono per molti lavori di cura, come infermieri a domicilio, fisioterapisti, badanti, giardinieri. E la robotizzazione progressiva dei lavori ripetitivi non potrà che allungare la lista dei mestieri, soprattutto nei servizi, anche interessanti e remunerativi ma legati alla domanda individuale e quindi occasionali. Se non vogliamo che ciò porti alla precarizzazione della società e delle famiglie dobbiamo pensare a una misura di sostegno stabile e slegata dalla dimostrazione di una obbligata inattività. Prima o poi anche una tassa sui robot finalizzata a finanziare il reddito di base potrebbe essere interessante. Pensiamo al caso attuale della pandemia di Covid19, che ha messo sul lastrico una enorme quantità di famiglie con redditi che permettono appena di arrivare a fine mese e risparmi modestissimi. Gli aiuti arriveranno, ma con ritardo e con enormi costi burocratici e umiliazione delle persone, costrette a chiedere una sorta di carità. La disponibilità di un reddito di base avrebbe garantito subito a tutti la tranquillità di poter far fronte alla perdita appunto del proprio reddito in particolare di quelli non stabili e difficili da dimostrare, anche perché spesso svolti in nero. È evidente che non si eliminerebbero ipso facto le attività illegali ma si potrebbe ridurne la capacità di reclutamento fra i giovani. Naturalmente non tutto sarebbe facile e sarebbe necessaria una profonda riscrittura del patto sociale: garanzia contro lealtà fiscale e anche educazione al lavoro come sfida e parte integrante della propria personalità, più che legato solo al bisogno di sopravvivere. Invece di lanciare subito l’anatema a Beppe Grillo, vale forse la pena di provare a discuterne e di lavorare a mettere a punto una proposta coraggiosa ma sostenibile.


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