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Recovery fund: un libro di buone intenzioni, ma troppe pagine ancora in bianco

Aggiornamento: 21 apr 2023

di Daniele Viotti

Ursula von der Leyen ha presentato oggi, davanti alla Plenaria del Parlamento Europeo, la proposta della Commissione per l’ormai famoso Recovery Fund, il fondo con cui l’Unione Europea dovrebbe aiutare gli Stati Membri a “ripartire” e rilanciare la propria economia dissestata dopo Covid-19. Faccio alcune considerazioni a caldo prima ancora di averne letto i dettagli, ma basandomi sulle anticipazioni giornalistiche. Anzitutto vale la pena ricordare che si tratta di una proposta, di un progetto, di buone intenzioni, insomma. Quanto presentato oggi è quel che la Commissione Europea auspica e propone al Consiglio, cioè ai capi di Stato e di Governo che inizieranno la discussione a metà giugno, nella speranza di terminarla entro le vacanze estive. Un pacchetto di 500 miliardi di euro a fondo perduto

Si tratta di una proposta non molto ambiziosa, ma certamente consistente di circa 750 miliardi di euro da inserire nel bilancio generale dell’Unione Europea suddivisi in 500 miliardi a fondo perduto destinati a tutti i Paesi Membri e 250 miliardi in prestiti, probabilmente agevolati, destinati solo agli Stati più colpiti dalla pandemia. E qui sorge il primo problema: se così fosse si tratterebbe di una solidarietà ben strana. Una solidarietà che regala soldi in parti eguali a tutti, ma agli Stati con maggiori difficoltà li presta chiedendogli quindi indietro. In secondo luogo mi chiedo se tra queste due distinte modalità di “assegnazione di risorse” ci saranno dei vincoli. Provo a spiegarmi: se chiederò la parte che mi spetta come finanziamento a fondo perduto, sarò anche costretto a chiedere la parte in prestito? Questo ovviamente sarebbe un vincolo diabolico che metterebbe gli Stati membri di fronte a un dubbio realmente difficile da sciogliere. Infine: questo nuovo fondo sarà inserito nel Quadro finanziario Pluriennale, cioè nel Bilancio Pluriennale dell’Unione Europea. Il peso della burocrazia nell’erogazione dei finanziamenti

Se da un lato questo è un fatto che salutiamo positivamente, perché significa che ci sarà un controllo democratico da parte del Parlamento Europeo, su questo bilancio non possiamo però dimenticare le lentezze dell’applicazione del bilancio pluriennale: dopo l’approvazione del Bilancio Pluriennale la Commissione Europea, con le sue Direzioni Generali, dovranno scrivere le regole e le norme per accedere a questi fondi, dovranno probabilmente essere fatti dei bandi, andrà lasciato tempo agli Stati, alle autorità locali, alle Università e alle imprese di scrivere le proprie proposte che poi dovranno essere valutate e finanziate. Insomma una prospettiva di almeno due anni dall’approvazione all’eventuale finanziamento. In altre parole, il bicchiere continua a riempirsi sempre di più di buona volontà e proposte ma quella parte ancora mezza vuota fa sempre paura.

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