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Le domande cui Giorgia Meloni dovrebbe volere... rispondere

di Beppe Borgogno


La Presidente del Consiglio, "donna, madre, cristiana", non risponde alle domande imbarazzanti ed è altrettanto abilissima a svicolare da quelle che riguardano i suoi legami ideologici e storici. Non la sentiremo mai, probabilmente, dire che, come ancora di recente ha fatto Gianfranco Fini “La libertà e la democrazia sono valori antifascisti, e chi si riconosce in essi è antifascista” (ripetuto di recente in una intervista con Massimo Gramellini su La7). Per lei è come se qualcun altro - appunto Gianfranco Fini - avendo già fatto quelle affermazioni l'avesse liberata dal “lavoro sporco”, tanto da concederle il diritto all’irritazione di fronte a chi le chiede se condivida quegli stessi principi di chi ha ispirato e propugnato la svolta di Fiuggi del Movimento sociale italiano. E difficilmente la sentiremo dire qualcosa di davvero importante sul recente raduno di via Acca Larentia con la colorita (e aggressiva) coreografia di saluti romani e gridi di battaglia del Ventennio fascista. Limitarsi a dire che quelli sono estremisti e che il suo partito non partecipa a quel raduno sa di “camerati che sbagliano”.

Tra l'altro, ripetere che quelle scene si erano viste anche negli anni precedenti è quantomeno ipocrita: almeno allora, pure nella fastidiosa logica dell’assorbimento delle tensioni, qualcuno le condannava con decisione. Nonostante il partito di Meloni sia arrivato dov’è, perché una parte corposa del suo elettorato è quella ormai tradizionale della destra italiana e di tutti i suoi travasi (tendenzialmente conservatore, benestante o anche povero e impaurito, insofferente alle regole, ma contemporaneamente alla ricerca di un nemico e di un colpevole, ma non per questo fascista o simpatizzante del fascismo), sopravvive in lei e nei suoi accoliti un legame che sembrano incapaci di sciogliere, ammesso che vogliano davvero farlo.

Non tanto con il fascismo storico, buono (credo ormai anche per loro) per le nostalgie revisioniste o le adunate da avanspettacolo. Piuttosto, invece, con ciò che proprio loro hanno vissuto, direttamente o di riflesso, o di cui hanno ricevuto l’eredità: il neofascismo che ha cavalcato due decenni, dal Sessanta al Settanta, ponendosi vicinissimo a tentativi di colpi di Stato e a familiarità sospette (per usare un eufemismo) con i servizi segreti predisposti a costruire quella che diventerà, prima ancora di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) la Strategia della tensione. E a seguire, quello avvezzo allo scontro di piazza, alla violenza giustificata come autodifesa, estremista, antagonista, antisistema. Quello che considerava la democrazia un luogo in cui stare, ma anche una specie di arma del sistema. Quello che lamentava di essere “escluso”, ma in contemporanea si alimentava della retorica del ghetto politico, e che anche per questo oggi cerca una rivalsa. Quello che per cercare una legittimazione culturale alternativa al fascismo storico si è fermata ad abbracciare Il Signore degli Anelli, senza chiedere peraltro il permesso al suo autore, a Tolkien..., che aborriva sia il totalitarismo, sia il razzismo. Quello che più che con l’esperienza democratica si misurava con l’opposto speculare, ovvero l’estremismo violento collocato a sinistra, alimentando in questo la delirante e luttuosa contrapposizione degli Anni di piombo.

Ora, qual è il punto di questi numerosi crocevia? Sostanzialmente, che pur con tutti i suoi limiti politici e umani, innegabili, la sinistra con quella storia di dolore e di violenza ha fatto i conti; all'opposto, la destra (non solo Fratelli d’Italia) decisamente molto meno. L’inadeguatezza della classe dirigente cresciuta attorno a Giorgia Meloni nasce anche da tutto questo: dalle ambiguità e dalla doppia morale verso il passato dei singoli e dalle ipocrisie nei confronti della storia di ognuno di loro, ancora prima di quella dei nonni o dei bisnonni. Ed anche, per conseguenza e per eccesso di disponibilità, dal dover imbarcare quasi chiunque per coprire tutte le sedie ora da occupare. Alla Presidente del Consiglio, dunque, prima o poi bisognerà chiedere se non sia ora di liberarsi come minimo di qualche rottame di cui continua a circondarsi. Una che ormai ama definirsi “leader conservatore”, almeno a questa domanda, dovrebbe volere e sapere rispondere.

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