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La strage di Brandizzo e i perché sempre senza risposta

Aggiornamento: 31 ago 2023


di Vice



“Voglio sapere perché?”. Conveniamo con il ministro dei trasporti e vicepresidente del consiglio Matteo Salvini che ha posto legittimamente la domanda da cui è prioritario partire per fare luce sulla tragedia avvenuta alla stazione di Brandizzo, alle porte di Torino: cinque lavoratori travolti (altri due si sono salvati per frazioni di secondo) da un convoglio che viaggiava alla velocità di 160 chilometri all’ora. La velocità, all’ingresso di una stazione, è stata giudicata elevata. Norme e disposizioni a parte, lo suggerisce anche il buonsenso, come ricordano molti in queste ore. Perché – un’errata comunicazione? - quei cinque lavoratori fossero lì, se era previsto il passaggio di un treno, è la domanda più inquietante e angosciante che si pone il ministro dei trasporti. Interrogativo da girare a Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., la società che gestisce le infrastrutture ferroviarie, mentre la Procura della Repubblica di Ivrea ha aperto un fascicolo d’inchiesta per disastro ferroviaria colposo che riapre il dramma delle morti sul lavoro: 450 nei primi mesi dell’anno. Un prezzo elevato da sacrificare al lavoro, in un paese che sempre meno tutela il lavoro nella sua dignità e sicurezza. Lavoro bene supremo e prezioso, come stabilisce l'articolo 1 della Costituzione, ma che oramai sembra un articolo letteralmente morto.

Una ecatombe. I cinque morti di Brandizzo hanno nuovamente richiamato l’attenzione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, distante dal luogo della strage meno di cento chilometri, oggi in visita, ultimo giorno di agosto, a Torre Pellice, nelle valli valdesi. Morti che il Capo dello Stato ha definito “un oltraggio alla convivenza civile”. Dal Parco Verde di Caivano, dove ha espresso, insieme con la solidarietà dell’esecutivo, anche la fermezza dello Stato per fare giustizia dello stupro subito da due bambine di 12 e 11 anni, ha fatto eco alla voce di Mattarella, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha chiesto piena luce sulla strage.

Le domande presuppongono risposte. Se scorriamo le statistiche, numeri anonimi, ma mai in disarmo, dietro i quali vi sono famiglie e affetti colpiti dal dolore e dalle sofferenze, si comprende che le domande cadono senza risposta. E ciò, nonostante che siano poste dalle massime cariche istituzionali, anche con toni sferzanti e risoluti, dalle rappresentanze industriali e sindacali, dalla società civile, dal puntuale intervento della magistratura e degli organi investigativi. Evidentemente, al livello di sensibilità non corrisponde un pari grado di incisività per invertire la tendenza.

Gli infortuni mortali sul lavoro non demordono e si accaniscono in misura maggiore sui soggetti esposti all’esterno, nei campi, sui cantieri, su strade e autostrade per lavori di manutenzione o, come all’alba di oggi. sui binari della linea ferroviaria Milano-Torino. Effetto primo e letale nel caso in cui la prevenzione antinfortunistica è condizionata (compromessa) dall’attenzione e dalla lucidità stesse del lavoratore, inversamente proporzionali alle ore lavorate, o se dipende da informazioni terze, dalla limitata o ridotta formazione professionale, dalla continuità dei protocolli di sicurezza e dai controlli istituzionali.

Domande senza risposte sui morti sul lavoro, seguite da quelle sull’equità fiscale, sulla giustizia, sulla integrazione dei migranti, sui morti nel Mediterraneo e sulle nostre coste, sugli incendi boschivi e sui piromani fantasmi, sulle violenze, sugli stupri di branchi sempre più famelici, sulla guerra di cui siamo spettatori nell’indifferenza e partecipi alla crescita delle più efferate crudeltà, sui mancati interventi per i cambiamenti climatici, sul PNRR, sul salario minimo, sulle diseguaglianze, sulla qualità dell’occupazione e sulla disoccupazione, sulla sanità pubblica, sulla democrazia reale, sulla democrazia applicata alla Costituzione, sulle profonde e accelerate differenze economiche tra Nord e Mezzogiorno, sui misteri e sulle stragi eversive, sul contrasto alle mafie e alla corruzione. Non è un quadro idilliaco. Non ci rimane allora che arrendersi all'inevitabile ultima domanda: se non è ciò che si merita questo Paese, da troppo tempo nella rete di domande inevase e per questo deprivate della forza rivoluzionaria del cambiamento, destinato così a promuovere l’impotenza come il nuovo padrone di tutti noi.


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