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Emanuele Davide Ruffino

La crisi non si risolve con soluzioni taumaturgiche

Aggiornamento: 5 nov 2022

di Emanuele Davide Ruffino

Agli allarmisti di professione il presente è quasi perfetto per costruire paure sul futuro: lo spread BTP-BOND è a 234 punti, le principali borse mondiali sono in caduta e Piazza Affari è addirittura in caduta libera se in un giorno perde più del 5 per cento (cui si aggiunge le perdite precedenti), mentre l’inflazione al 7 per cento dà l’impressione di correre verso la doppia cifra. E se per l’Italia si può affermare che la causa principale è da ricondursi a fattori esogeni collegati all’aumento dell’energia (se scomputiamo i prodotti derivanti da combustili e alimentari interconnessi tra di loro, l’inflazione si aggirerebbe tra l’1 e il 2 per cento), il quadro per gli Stati Uniti tende al peggio con quell’8 per cento inflattivo che non si registrava da quarant’anni, nonostante il paese sia pressoché autosufficiente sotto il profilo energetico. Le Banche centrali hanno annunciato provvedimenti antinflattivi da tempo attesi, prevedendo un lieve incremento dei tassi di interesse, ma a spaventare ancora di più è stata la sospensione dell’acquisto dei titoli di Stato (l’Asset Purchase Programme ossia il “Quantitative Easing”). L’annuncio ha provocato panico sui mercati per la gioia degli speculatori che non attendono altro che notizie negative per dare il meglio di sé… Davanti al complicarsi della situazione c’è da chiedersi se il “whatever it takes” di Draghi funzionerebbe ancora? L’aver illuso che tutto si potesse risolvere con un taumaturgico intervento pubblico raccoglie ancora consensi, specie tra chi, dallo status quo e nelle pieghe dell’inefficienza trae ancora parecchi vantaggi. In periodi normali o dove il problema era circoscritto ad un evento, questa maggioranza imponeva il suo volere. Oggi, indirettamente, siamo in un economia di guerra, nel senso che a dettare la disponibilità delle risorse non è più la legge della domanda e dell’offerta, ma i canali di rifornimento e lo sminamento di alcuni porti, così come a dettare i provvedimenti non possono più essere le ricerche di consenso, ma le esigenze oggettive. A ciò si aggiungono i deficit di molti paesi che hanno raggiunto livelli preoccupanti, non tanto per la loro solvibilità ma per il timore che, per soddisfarli, si rendano necessari nuovi inasprimenti fiscali. Ma il vero problema rimane la difficoltà a formulare soluzioni innovative per svincolarsi da soluzioni che, se hanno funzionato in passato, non danno garanzie per il futuro. I provvedimenti economici ricordano i processi di erogazione dei farmaci: alcuni devono essere somministrati per lunghi periodi, altri in monodosi occasionali. Oggi ci dividiamo nel sostenere una delle due metodologie più che a studiare quando le condizioni consigliano l’una, rispetto all’altra. Quello che bisogna culturalmente accettare e che non vi sono soluzioni miracolose e se queste hanno funzionato in determinate circostanze non è detto che possano essere replicate sistematicamente. Agitare crisi imminenti e sconvolgimenti sociali è probabilmente un modo per apparire sui social, ma non aiuta la comprensioni dei problemi: la stessa Janet Yellen, Segretario al Tesoro americano, presidente della Federal Reserve dal 2014 al 2018, ha ammesso di aver sbagliato le previsioni. L’economia però non è astrologia, ma la capacità di predisporre misure in grado di garantire un equilibrato sviluppo. E su questo tema occorrerebbe concentrare gli sforzi, mentre l’Occidente sembra concentrato soprattutto nell’individuare slogan efficaci per le elezioni imminenti e prossime. La crisi che si sta prospettando è seria e l’Italia vi arriva quasi disarmata: dipende più di altri paesi da forniture energetiche, presenta un deficit elevato e un tasso di “impedimento burocratico” tale da impedire reazioni tempestive. La creatività italiana ha superato difficoltà ben superiori a una nuova turbolenza finanziaria, ma occorre lasciar emergere le forze sane della nazione, realizzando le condizioni per uno sviluppo sostenibile e non proteggere interessi particolari, se non dopo aver perseguito quelli generali.

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