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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. "Meloni piccona la Costituzione per correre verso l'autoritarismo"

Aggiornamento: 11 feb

di Giancarlo Rapetti*


Carlo Calenda ha detto: “la proposta di premierato presentata dal Governo è una legge sbagliata e mal scritta”. Ma ha aggiunto: ”compito dell’opposizione non è dire no e basta, ma avanzare proposte credibili e alternative a quelle della maggioranza”.

La proposta di Azione rispetta gli standard che l’ufficio studi del partito si è dato: un documento elegante, denso, complesso, che esamina vari aspetti e questioni, e produce una proposta. Nella proposta sta il  punto debole, figlio della seconda affermazione di Calenda prima ricordata: accettando implicitamente l’idea che il problema da affrontare e risolvere sia la “stabilità” dei governi, la proposta di Azione condivide con quella del Governo il ridimensionamento dell’indipendenza del Parlamento, realizzata con “l’indicazione sulla scheda elettorale del candidato primo ministro dei diversi partiti o coalizioni elettorali”. Affermazione tra l’altro ambigua: è vincolante o no? E se non è vincolante, che indicazione è? Sembra un residuato del famigerato “Sindaco d’Italia“ di renziana memoria.

Altro punto critico è la proposta di una “legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5%”: formula che sottintende una proporzionalità nazionale e non di collegio, penalizzando così la rappresentanza territoriale; e introduce uno sbarramento alto, arbitrario, come tutte le soglie fissate a priori. Gioverà ricordare che il 5% degli aventi diritto al voto sono due milioni e mezzo di persone, un numero enorme per decidere che non debbano essere rappresentate in Parlamento. Per attivare un referendum abrogativo bastano 500.000 firme, cioè l’uno per cento del corpo elettorale. Con quale criterio si stabilisce la soglia? Comunque la legge elettorale, che per altro è il nodo decisivo del tutto, merita una trattazione a parte.

Il punto politico è questo: la proposta di Azione è criticabile nel merito, ma, soprattutto, è politicamente inefficace. Potremmo raccogliere i migliori cervelli del mondo per ridisegnare la Costituzione perfetta, dissipando da quei cervelli tanta energia da far alzare di un grado la temperatura del pianeta. Nel frattempo Giorgia Meloni avrà approvato la “sua” riforma (che non è una riforma, ma uno stravolgimento totale) e avrà vinto il referendum, assicurandosi il potere per molti anni.

Per contrastare questo obiettivo evidente e dichiarato, occorre che le opposizioni trovino un terreno comune, che può essere solo la difesa della Costituzione vigente. Altrimenti ognuno vorrà fare il primo della classe e lanciare la propria proposta, con il risultato di disarticolare l’opposizione stessa. E soprattutto, al referendum, il NO sarà molto debole, se nel frattempo ha ceduto sulla premessa, cioè che la Costituzione va modificata: se così fosse, vince chi ha preso l’iniziativa per primo e la modifica di più. Non puoi rinforzare la diga, se l’acqua ha già tracimato: l’onda di piena ti travolgerà.

La strada è in salita: l’uomo, o adesso la donna, forte, che sa parlare alla “gente” con il linguaggio del popolo, senza la mediazione del noioso Parlamento, affascina sempre, ancora di più quando nella società ci sono fattori di crisi. A maggior ragione occorre agire adesso, prima che sia troppo tardi, con un messaggio semplice e chiaro: salvare la democrazia rappresentativa, con la separazione dei poteri tra Parlamento e Governo, vuol dire salvare la democrazia tout court. Il leaderismo più o meno carismatico produce una deriva che, anche al di là delle intenzioni degli stessi proponenti, porta a esiti infausti.

La ragionevolezza del valutare i provvedimenti del Governo caso per caso, vale per certe materie e per i tempi ordinari; ma questi non sono tempi ordinari, se si sa ascoltare. “La madre di tutte le riforme” è una dichiarazione sintetica ed efficace degli obiettivi: più di ogni altra cosa, interessa occupare il potere e conservarlo il più a lungo possibile. Con questo ci si deve confrontare.

Concludo con un ricordo e una speranza. L’8 febbraio 1947 l'avvocato Umberto Terracini, dirigente del Partito comunista d'Italia, tra i pochi a contrastare la secessione dell'Aventino nel 1924, veniva eletto Presidente dell’Assemblea Costituente: nel celebrare la memoria di questo combattente antifascista (diciassette anni tra carcere e confino), facciamo in modo che anche lui non “sia vissuto invano”.


*Componente della Assemblea nazionale di Azione

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