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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Da Chivasso e Ventotene volontà di pace e alternativa all’impero

Aggiornamento: 17 dic 2023

di Stefano Rossi*


In questi giorni si celebra a Chivasso l’ottantesimo anniversario della Carta di Chivasso, manifesto politico redatto da un gruppo di rappresentanti delle popolazioni alpine riuniti a Chivasso clandestinamente nel dicembre del 1943. La Carta di Chivasso promuoveva la tutela delle autonomie locali in chiave politica, culturale ed economica, auspicando che la ricostruzione dello Stato italiano avvenisse, sconfitto l’invasore nazista e i residui dell’organizzazione fascista italiana, sulla base di uno stato democratico federale. 

È nell’ambito della prima organizzazione della resistenza che muove i primi passi l’organizzazione dei federalisti in Italia e in Europa. È stato da più parti osservato che la Carta di Chivasso completa e arricchisce il messaggio del Manifesto di Ventotene, ponendo i presupposti per lo sviluppo della teoria federalista non soltanto a livello sovranazionale, ma anche a livello “infranazionale”.

 D’altra parte, il federalismo come filosofia politica ha quale valore fondante la pace (intesa in senso kantiano e non soltanto quale assenza temporanea di conflitto) e propone una strategia concreta per perseguirla: la creazione di istituzioni che superino la sovranità nazionale, costruendo una nuova sovranità comune, una comunità di popoli e territori in cui i conflitti si risolvono con il diritto e non con gli eserciti. Ma se fosse soltanto questo, se il motto si limitasse all’unità in nome della pace, allora si potrebbe obiettare che anche l’impero risponde a questa soluzione, pacificando i popoli soggiogati in un nuovo quadro di pace (la pax romana, o quella perseguita da Napoleone o da Hitler). L’intuizione dei federalisti di Chivasso e di Ventotene, reduci dal ventennio fascista e testimoni viventi del fallimento dello Stato nazione e dell’impero, è che il motto deve essere esteso all’unità nella diversità.

In questo senso la Carta di Chivasso (come il Manifesto di Ventotene) sono ancora una lezione utile e attualissima per l’Europa e per il mondo di oggi. Gli ultimi anni ci hanno ricordato che un sistema di Stati nazionali a sovranità illimitata è strutturalmente votato alla guerra. Se con la fine della guerra fredda molti si erano illusi che la globalizzazione da una parte e l’egemonia americana dall’altra avrebbero reso impossibili (perché non convenienti economicamente) le guerre novecentesche, i fatti si sono occupati di svelare questa pia illusione. Mentre gli Stati Uniti completano il loro ritiro dal Medio Oriente, e in prospettiva dall’Europa, il pacifismo pragmatico deve chiedersi quale modello potrà in futuro garantire la pace senza però sacrificare la diversità.

Qui torna utile l’insegnamento federalista nato nella Resistenza, che propone un’azione in due direzioni: forme di autonomia e autogoverno locale (per garantire la diversità) e coordinamento di livelli di governo indipendenti tra loro tramite istituzioni sovranazionali (per garantire la pace).

Sono molti i cantieri per costruire un mondo di pace e giustizia. A livello globale è più che mai urgente rilanciare l’organizzazione internazionale e sovranazionale, promuovendo soluzioni per affermare la risoluzione delle controversie internazionali tramite il diritto e allo stesso tempo creando progressivamente forme di sovranità globale condivisa che rendano tali soluzioni effettive. In questo quadro, è ancora troppo debole la voce dell’Europa che, priva di una politica estera comune, si è limitata a osservare il progressivo sgretolamento dell’ordine internazionale e oggi assiste impotente a conflitti disumani che esplodono ai suoi confini.

Gli europei pacifisti hanno quindi il compito oggi di completare l’integrazione politica europea, come passo intermedio per costruire la pace mondiale.

Ma non è soltanto la ragione ideale del pacifismo a richiederlo: il futuro allargamento lo rende necessario, consapevoli che se l’Unione di oggi funziona male a 27, figuriamoci a 37. Il Parlamento europeo ha preso l’iniziativa per una profonda riforma dei Trattati in senso federale, ma spetta ora ai governi trovare un accordo per convocare una Convenzione, o individuare soluzioni alternative per una profonda riforma dell’UE e dei suoi meccanismi decisionali. Il dibattito è aperto e le prossime elezioni europee saranno un passaggio determinante.


*Segretario Movimento Federalista Europeo Torino




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