top of page

L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. "Clima: finzione e ipocrisie di COP28, il futuro non è dietro l'angolo"

di Sergio Cipri


Immagino la reazione di alcuni lettori già dal titolo: si parla di COP28, ma non è finita il 12 dicembre? Vero, sono trascorsi quasi tre settimane dalla sua chiusura, cui sono seguiti altri (pochi) giorni di discussione sulle decisioni prese a Dubai per contenere gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Appunto: settimane o giorni, questi sono i metri di misura del tempo che adottiamo noi esseri umani che ci riteniamo padroni del globo su cui siamo apparsi qualche milione di anni fa, mentre Madre Terra esiste da qualche miliardo di anni... Ed è proprio in questi estremi che si ratifica la difficoltà della razza umana ad accettare il rischio estinzione che sta correndo. Eppure, la realtà ci dice che il rischio c'è, a dispetto delle frasi ad effetto che circolano quotidianamente per anestetizzare il pericolo.

Sarà per questo che a Dubai sono diventate un caso le parole di Sultan Al Jaber, presidente della delegazione organizzatrice dell'evento. Il manager emiratino, infatti, si è espresso contro l'eliminazione dei combustibili fossili, uno degli obiettivi del summit, sostenendo che questo significherebbe "un ritorno al tempo delle caverne”. Nei giorni successivi ha tentato una goffa retromarcia, ma l’effetto è stato surreale. COP 28 si è chiusa con rinnovati solenni impegni per salvare il Pianeta, tralasciando quel particolare tutt'altro insignificante che siamo noi che dobbiamo salvarci, non certo la Terra su cui viviamo. Allora, quando la smetteremo di usare quella frase apodittica quanto falsa e ci decideremo a parlare di noi? Anzi, mi spingo oltre: quando i leader di Cina e Stati Uniti, assenti a Dubai, dove c'erano delegazioni di 197 Stati , decideranno di partecipare a queste assise "per salvare il Pianeta" visto che i loro Paesi sono i due principali responsabili dell’emissione di inquinanti nell'aria?

Aggiungo: perché la scelta di Dubai, Emirati Arabi Uniti? Cioè Paesi che vivono e contano di sopravvivere a lungo grazie ad un’unica fonte di ricchezza: il petrolio. La stessa risorsa che vogliamo abbandonare come principale fonte di energia. Il Presidente del Convegno: Sultan Al Jaber, citato in apertura dell’articolo, Direttore Generale della Adnoc, agenzia petrolifera degli Emirati. Come a dire: la volpe a guardia del pollaio.

Un primo importante risultato, deciso nel primo giorno della Conferenza, salutato dai partecipanti come un trionfo, è stato la decisione di istituire il fondo “Loss and Damage” per aiutare i paesi emergenti ad affrontare i costi dei cambiamenti climatici.

Vediamolo da vicino: votato da Stati Uniti, Unione Europea e altri Paesi, prevede contributi unicamente su base volontaria, ha raccolto promesse per circa 700 milioni di dollari. Sarà gestito dalla Banca Mondiale e per le regole di attuazione occorrerà attendere la fine del 2024. Un ampio articolo del Guardian [1] valuta nello 0,2% la copertura del fabbisogno stimato. Per un confronto oggi di attualità, le sole spese mondiali per armamenti nel 2022 sono state di 2430 miliardi di dollari [2] (fonte SIPRI - Stockholm  International Peace Reserarch Institute). La promessa che ha destato grandi entusiasmi, valutata miracolosa da coloro che l’avevano ratificata, equivale a TRE ORE di costo della macchina mondiale bellica.

 Per la prima volta è stato citato il contributo all’inquinamento delle attività agricole, una chiacchierata senza impegni e con una significativa eccezione per gli allevamenti animali.

 Un nuovo importante rapporto di UN Environment Programme (UNEP), Nazioni Unite, [3] pubblicato recentemente, rileva che i governi prevedono di produrre nel 2030 circa il 110% in più di combustibili fossili rispetto a quanto sarebbe compatibile con la limitazione del riscaldamento a 1.5°C, e il 69% in più rispetto a quanto sarebbe compatibile con 2°C. Al vertice di Dubai erano presenti oltre 2.400 lobbisti dei combustibili fossili. Ancora. 22 paesi hanno preso l’impegno di triplicare la produzione di energia nucleare entro il 2050. L’opinione di chi scrive è che il nucleare sia l’unica alternativa al fossile per coprire l’aumento della richiesta di energia previsto in evidente contraddizione con l’imperativo categorico di ridurre le emissioni di inquinanti da combustibili fossili. Ma le domande a cui dare risposta sono molte: quanti anni sono necessari per la costruzione e la messa in servizio di un impianto nucleare? Quali sono i costi prevedibili dell’intero ciclo di vita (progettazione, individuazione dei siti, materiali, gestione, sicurezza, manutenzione, stoccaggio sicuro delle scorie nucleari) di una centrale nucleare? Quali sono i rischi? E l’Italia come si pone a fronte di una decisione di ripartire con la programmazione di centrali elettriche a energia nucleare dopo la decisione di smantellare le poche esistenti a seguito del referendum abrogativo del 1987?

L’Italia non è fra i 22 Paesi firmatari. Giorgia Meloni ha dichiarato in una intervista durante la COP28 che partiremmo svantaggiati. Concordo, non solo rispetto a Cina e Stati Uniti, ma alla vicina Francia, che copre più del 70% del suo fabbisogno di energia elettrica con il nucleare (e ne vende pure a noi). Poteva fermarsi a questa constatazione ma è andata oltre (godetevi - si fa per dire - l’intervista disponibile qui - [4] affermando che dobbiamo guardare al futuro, alla fusione nucleare, dove l’Italia è più avanti.

Reso muto dallo sbalordimento, rimando i miei lettori ad un mio articolo precedente [5] che illustra le sfide colossali di questa tecnologia. Come vuole una regola non scritta dovrei chiudere con almeno una fiammella di ottimismo sul futuro che ci attende. Invito chi volesse cimentarsi ad aiutarmi.

Con la speranza che l’anno che viene non ci faccia rimpiangere quello che si chiude.


Note


 


45 visualizzazioni0 commenti
bottom of page