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L'anniversario della Riforma sanitaria. Ne celebreremo altri?

Aggiornamento: 23 dic 2023

di Giancarlo Rapetti*


Correva l’anno 1942, imperversava la guerra, nel Regno Unito Winston Churchill dirigeva con mano ferma lo sforzo bellico del suo paese.

Ma William Beveridge guardava avanti e redigeva il rapporto sulla "sicurezza sociale e i servizi connessi" (Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services), meglio conosciuto come "Rapporto Beveridge".

Ad esso si ispirò il governo laburista, espresso dalla maggioranza parlamentare che vinse le elezioni nel 1945. Aneurin Bevan, figlio di un minatore gallese e Ministro della Sanità nel governo presieduto da Clement Attlee, il 4 luglio 1948 annunciò l’istituzione del National Health Service (NHS), il servizio sanitario nazionale britannico.

Per inciso, si può fare una osservazione laterale. Spesso si dice che gli inglesi furono ingrati verso Churchill, sconfitto alle prime elezioni in tempo di pace, pur essendo stato l’artefice della vittoria. In realtà la gratitudine non c’entra. Gli elettori britannici, come Beveridge, guardavano avanti: finita la guerra, era tempo di ricostruire e di sostenere lo sviluppo sociale e puntarono su chi sembrava più adatto al nuovo compito.


23 dicembre 1978, l'istituzione della Legge

In Italia, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) fu istituito dalla Legge 23 dicembre 1978, n. 833, che reca la firma di Andreotti, Presidente del Consiglio; Tina Anselmi, Ministro della Sanità; Scotti, Ministro del Lavoro; Rognoni, Ministro dell'Interno; Bonifacio, Ministro della Giustizia; Pandolfi, Ministro del Tesoro; Morlino, Ministro del Bilancio. Tanti Ministri coinvolti, a riprova di quanto la riforma fosse impattante. Il principio del SSN era lo stesso di Beveridge. L’applicazione di quanto enunciato da Marx nel 1848, “da ciascuno secondo le capacità, a ciascuno secondo i bisogni”. Principio inapplicabile all’intera struttura economica della società, ma calzante per quanto riguarda alcuni servizi primari, essenzialmente salute e istruzione.

Nel 1994, parlando ad una conferenza, Antonio Martino, sulle cui credenziali liberali e sulla cui autorevolezza nessuno dubita, diede la sua definizione di welfare state: “il sostegno, attraverso la spesa pubblica, ai nostri concittadini meno fortunati”. In un paese in cui si viene giudicati poco per quello che si fa e molto per quello che si dice, e si viene impiccati spesso a una parola mal detta o male interpretata, stranamente quella definizione non suscitò alcuno scalpore. Nonostante fosse collegabile ad un’altra idea dello stesso Antonio Martino, esposta qualche anno prima in una manifestazione del Movimento di Liberazione Fiscale, secondo cui la spesa pubblica è eccessiva e bisogna ridurre la tassazione per ridurre di conseguenza la spesa e non è compito dello stato gestire i servizi universali.

Eppure era la dichiarazione esplicita della contrapposizione a un pilastro del nostro welfare state, quello che secondo la celebre definizione di Pietro Nenni, assiste il cittadino dalla culla alla tomba.

Concentriamo l‘attenzione sulla sanità: le due formule alternative sono chiare. Da un lato il servizio universale, rivolto indistintamente a tutti i residenti nel paese, pagato dalla fiscalità generale, gratuito al momento dell’utilizzo. Dall’altro la sanità lasciata al libero mercato, con un sistema pubblico residuale a tutela dei “meno fortunati”.

Forse la scarsa risonanza della contrapposizione deriva dal fatto che per molti anni è rimasta sotto traccia: il SSN ha continuato con le sue caratteristiche sostanziali, per quanto sottofinanziato, trascurato dalla politica, gestito in modo non sempre all’altezza.


Le parole d'ordine dei demagoghi

Oggi, inevitabilmente, i nodi sono venuti al pettine, a causa dell’accumulo dei sottofinanziamenti, dell’impatto Covid sulle strutture sanitarie, dell’inflazione che ha fatto lievitare i costi e ridotto il valore reale del Fondo sanitario.

Il Governo in carica accentua la politica di sottofinanziamento di SSN e di demotivazione dell’intera struttura del sistema. Non lo dice esplicitamente, anzi qualche volte afferma il contrario. Ma se stiamo ai fatti, e non alle dichiarazioni, appare evidente che stia perseguendo l’obiettivo di smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale come servizio universale, lasciandolo come residuale per i poveri. Uno dei tanti paradossi della politica italiana: il governo meno orientato al libero mercato e alla concorrenza, dedito allo statalismo e al sostegno delle categorie di riferimento elettorale, applica la politica più liberista quando si tratta della salute. Paradosso solo apparente, in realtà: in cambio promette di ridurre le tasse, e l’unico modo per ridurre le tasse in modo significativo è tagliare le grosse voci di spesa pubblica. Naturalmente comincia con i tagli alla spesa, poi delle tasse parleremo dopo. Ma dopo trent’anni di cultura antipolitica e antisociale (le famose “mani nelle tasche degli italiani“) il richiamo alla riduzione delle tasse è propagandisticamente efficace. 

Si potrebbe osservare che la scelta di cui sopra viola un po’ di articoli della Costituzione e i principi di solidarietà su cui si fondano le moderne società. Limitiamoci a ragionare in termini di stretta convenienza, e per farlo usiamo un esempio di attualità. Il Governo prevede di incrementare il taglio del cosiddetto cuneo fiscale, cioè di fare una riduzione ulteriore delle tasse sui redditi da lavoro dipendente (a determinate condizioni e a determinati livelli di reddito, e per di più solo per il 2024). Calenda aveva proposto di destinare invece quattro miliardi di quei fondi per abbattere le incredibili liste di attesa nella sanità pubblica, una vera emergenza nazionale. Proposta fatta sommessamente, senza farla diventare una bandiera da sventolare e una iniziativa politica forte e riconoscibile. A parte questo aspetto, nel merito la proposta era conveniente per i beneficiari del cosiddetto taglio del cuneo fiscale? La risposta è sì: quaranta euro al mese in più in busta paga sono una serata in pizzeria in più al mese. Una risonanza magnetica nel privato costa due anni di pizze. Lo stesso ragionamento può essere esteso a tutti gli aspetti della sanità.


Il Servizio sanitario nazionale va difeso e rilanciato

Ci sono cure costose, che una persona può dover affrontare e che da un giorno all’altro possono farlo diventare da benestante a povero. In più, e questo vale ancora di più per gli autonomi che per i dipendenti, chi ha problemi di salute può avere anche difficoltà a svolgere attività lavorativa e quindi a guadagnare; proprio nel momento di maggior bisogno, il reddito si assottiglia. Insomma, la prima risposta ai bassi salari e alla povertà sono i servizi universali. Non conta che tu sia povero o ricco: nelle cose essenziali, sanità e istruzione, sei comunque tutelato.

Naturalmente i servizi universali devono essere davvero universali e qui ci si scontra con una distorsione dominante soprattutto a sinistra, ma non solo: se chi paga le tasse, e quindi risulta avere un buon reddito, al momento di usufruire del servizio universale, che ha pagato, viene penalizzato o escluso, sarà spinto a pensare che per lui convenienza non c’è: visto che comunque deve pagare il servizio, tanto vale pagare meno tasse. Tutti devono poter accedere al sistema in condizioni di parità: la differenza c’è già stata, perché il sistema è stato finanziato in base alla capacità contributiva.

Tra l’altro, avere un sistema unico per tutti presenta un vantaggio qualitativo: se tutti sono interessati al sistema, a nessuno conviene trascurarlo, tutti sono interessati a sostenerlo e migliorarlo.

La situazione è difficile: la spesa pubblica è un pozzo da cui molti vorrebbero attingere, e per paradosso gli interessi generali sono quelli che più vengono a soffrire nella contesa tra gruppi e categorie. In più, come osserva Bersani con l’arguzia intelligente e simpatica che lo contraddistingue, per istituire SSN c’è voluta una legge, per smantellarlo basta non fare niente.

In conclusione, la difesa e il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale sono davvero il centro di ogni iniziativa politica che guardi al futuro e agli interessi vitali dei cittadini. Cari Partiti, qui “si parrà la vostra nobilitate”.


*Componente dell’Assemblea Nazionale di Azione

 

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