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"Il rilancio della sanità passa dalle assunzioni del personale paramedico"

di Enrica Formentin


Nell'ultimo "Editoriale della domenica", firmato da Emanuele Davide Ruffino, l'autore ha riproposto, seppur lateralmente, un tema oramai fisso nelle cronache da mesi, cioè la carenza di professionisti e professioniste nel ramo infermieristico. Una carenza esacerbata dalla pandemia che ha portato persino i Paesi a litigarsi la manodopera. Del resto, il fenomeno della rarefazione di personale sanitario è un flagello che si abbatte da decenni sul sistema sanitario italiano. Le misure intraprese negli anni per arginare questa penuria e per incentivare la formazione di nuovi professionisti del settore non sono state sufficienti ed ora il problema è diventato assillante.

In quasi tutti i Paesi europei (Germania, Spagna, Regno Unito, Olanda) il riconoscimento del titolo di infermiere ottenuto all’estero è pressoché automatico. Viene richiesta soltanto, e giustamente, una competenza linguistica. E’ noto che nei Paesi non comunitari i corsi di studio per la formazione di infermieri, tutti a livello universitario, sono della durata di quattro o cinque anni, con lunghi tirocini pratici e selezione severa negli esami di abilitazione. Dunque accaparrarsi questo personale competente, motivato e preparato è considerato vantaggioso, infatti, gli immigrati con tali requisiti sono i benvenuti. Non a caso, sono circa 38mila gli infermieri stranieri che lavorano in Italia.


Facilitare l'ingresso di infermieri stranieri

Il loro ingresso dall’estero è possibile attraverso una procedura semplificata ad oggi al di fuori delle quote annualmente stabilite dal Decreto flussi. Ma non è sufficiente a colmare la carenza di infermieri. La ragione? A nostro sfavore gioca la competizione con i Paesi esteri, che offrono salari più alti e condizioni di lavoro migliori, e, in seconda battuta, le complesse politiche di immigrazione non facilitano il reclutamento di infermieri stranieri.

Altro elemento, non marginale: l'Italia non ha mai avuto un grande afflusso di studenti stranieri, anche se negli ultimi anni la loro percentuale ha fatto registrare un leggero incremento. L'assenza di una politica specifica in questo senso abbandona gli studenti alle loro risorse, anche se i posti a disposizione per gli stranieri sono quattro volte quelli attualmente occupati. Molti degli studenti provenienti dall'estero frequentano corsi di medicina: il 6,9% degli studenti che conseguono questa laurea sono stranieri, contro il 2,9% dei corsi di infermieristica.

Eppure, l'invecchiamento della popolazione italiana indurrebbe ad avere sempre più personale per l’assistenza agli anziani. La domanda, in tal senso, di badanti e assistenti/operatori socio-sanitari eccede addirittura quella degli infermieri. Recenti indagini stimano che gli stranieri che in Italia lavorano in questo ambito sono circa 500 mila. La carenza dell'assistenza pubblica e i cambiamenti sociali delle famiglie italiane hanno incrementato il mercato dell'assistenza tramite badanti privati, la maggior parte dei quali stranieri.

Molti di questi lavoratori non hanno un regolare permesso di soggiorno, ma il loro ruolo è ormai essenziale per la società italiana: si tratta fondamentalmente di immigrati provenienti da Ucraina, Romania, Polonia, Moldavia, Ecuador e Perù, ma per lo più privi di preparazione in ambito sanitario. Per accrescere le loro competenze, molte autorità locali nelle nostre regioni italiane hanno organizzato corsi di formazione per il primo soccorso e le cure di base.


Le esigenze delle Rsa

Il grosso problema si pone anche nelle Rsa dove il personale infermieristico, ma soprattutto socio sanitario di supporto, lavora sotto organico. Ciò si verifica in Piemonte come in altre regioni. Le cifre parlano chiaro: si stima che via sia un fabbisogno di occupati pari al 30 per cento di infermieri e al 20 per cento di OSS (operatore socio sanitario).

Molte strutture che oggi permettono ai nostri anziani di vivere serenamente la loro terza età si reggono grazie al lavoro di personale straniero. Questa è comunque un‘opportunità da gestire con molta cautela: la nostra sanità, sia pubblica che privata, è di alto livello e lo si è dimostrato nella fase pandemica, quindi richiede al personale un alto livello di competenza.

Attualmente potranno continuare ad operare fino al 2025 tutti quegli operatori che sono entrati con l'emergenza Covid, ma il grosso problema rimane il controllo della lingua italiana, aspetto che dovrà essere regolamentato da regole sicure e approvate dalle Regioni e dallo Stato.

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