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Il cuore di Bruno Segre ha cessato di battere

Se ne è andato nella notte Bruno Segre, ex partigiano e decano dei giornalisti. Il 4 settembre scorso era entrato nel 106esimo anno di vita. E lo aveva fatto beffando un necrologio che si era diffuso il 22 agosto scorso, per un caso di omonimia. Scaramantici, ci eravamo detti che l'errore gli avrebbe allungato la vita. Non di molto, è vero, ma sempre è solo rispetto alla sua lunghissima esistenza. Riproponiamo quanto ha scritto Marco Travaglini per il suo ultimo compleanno.

Bruno Segre era nato nel centro storico di Torino, in una casa di via Barbaroux con i balconi che "si affacciavano su piazza Castello", come scrisse nella sua autobiografia intitolata "Non mi sono mai arreso". Dopo aver attraversato da protagonista l'intera vita politica e sociale della prima capitale d'Italia lungo il Novecento e in questi ultimi due decenni, ha continuato ad essere l'infaticabile testimone delle battaglie per la libertà e i valori costituzionali, per i diritti civili e la giustizia, temi sui quali non si è mai tirato indietro, dimostrando coraggio nel fare scelte nette e importanti come quando nei due decenni del fascismo contrasto l'ignominia delle leggi razziali, si batté contro la guerra e il regime nelle file della Resistenza.

Nel suo lungo cammino è stato per decenni caparbio e determinato, diviso tra mille impegni e interessi. Laureato in legge, ultimo allievo di Luigi Einaudi ( di cui il padre era stato il primo nel 1901), antifascista, discriminato dalle leggi razziste in quanto figlio di genitore ebreo, durante il secondo conflitto mondiale Bruno Segre conobbe due volte, nel 1942 e nel 1944, l'esperienza del carcere e partecipò alla lotta di Liberazione nelle file di Giustizia e Libertà. Un'esperienza sulla quale, nell'estate del 1946, scrisse un memoriale che pubblicò soltanto dieci anni fa, nel 2013, in un volume intitolato "Quelli di via Asti".

Uomo colto e intelligente ma soprattutto innamorato del concetto di giustizia e libertà, straordinariamente motivato da quello spirito repubblicano che ne orienta le scelte, a partire dall'insopprimibile impegno a difesa dei principi di laicità e all'intransigente fedeltà ai valori di un socialismo capace di garantire i diritti individuali, ripudiando ogni settarismo e dogmatismo, avrà senz'altro colto con grande ironia e una sonora risata la notizia della "sua" scomparsa. Come giornalista Bruno Segre, oltre a collaborare a diverse testate (tra le altre L'Opinione, diretta da Franco Antonicelli e Giulio De Benedetti, Paese Sera, Il Corriere di Trieste e Corriere di Sicilia) è stato il fondatore del mensile "L'Incontro" che in settant'anni di ininterrotta pubblicazione è stato un vero e proprio riferimento al quale mi onoro di aver collaborato grazie all'amicizia che mi lega a Bruno. L'Incontro è stato un "periodico politico-culturale" stampato su foglio unico in formato grande e con la sua testata in rosso ha segnato più di un epoca, accompagnando per ben quattordici lustri gli affezionati lettori con riflessioni e articoli dedicati alle battaglie contro l'intolleranza religiosa e il razzismo, per la pace, i diritti civili e la laicità. Peccato che oggi qual foglio (sostituito da una edizione online) non vi sia più perché l'Avvocato avrebbe senz'altro dedicato uno dei suoi noti elzeviri a questo ballon d'essai estivo. Nella sua intervista autobiografica affermò di voler essere ricordato come una persona che si è sempre opposta a tutti i tentativi di prevaricazione, d'imposizione forzata in sede politica o religiosa. Al punto di dettare le parole da incidere sulla sua ultima dimora, parafrasando un motto di Saul Bellow: "Qui giace un vinto dalla morte che non si è mai arreso".

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